Ha smesso di respirare a soli tre giorni dalla nascita, perché i dottori che dovevano curare sua madre, una 32enne romana, avrebbero rimandato per troppo tempo il parto...
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Ha smesso di respirare a soli tre giorni dalla nascita, perché i dottori che dovevano curare sua madre, una 32enne romana, avrebbero rimandato per troppo tempo il parto cesareo, sottovalutando i sintomi presentati dalla gestante. Ora i due medici sono stati rinviati a giudizio per omicidio colposo. Si tratta del ginecologo di fiducia della neomamma e di un medico del pronto soccorso dell'ospedale “San Pietro Fatebenefratelli” in via Cassia. I due sono finiti sotto processo su richiesta della pm Nadia Plastina. Secondo il magistrato, come si legge nel capo d'imputazione, se l'intervento dei sanitari fosse stato tempestivo e puntale, forse la bimba si sarebbe potuta salvare.
IL CESAREO
La vicenda parte il 22 aprile 2015, quando la donna arriva al pronto soccorso dell'ospedale San Pietro. Giunta a fine gravidanza, è preoccupata: il termine per il parto è scaduto da 10 giorni e lei non avverte più alcun movimento nella pancia. Dopo una lunga attesa nella sala d'aspetto del nosocomio, la paziente viene sottoposta a un monitoraggio che rileva i parametri vitali del feto: l'esito è negativo. La gestante entra quindi in sala operatoria dove viene praticato un taglio cesareo d'urgenza. La neonata resta senza ossigeno per almeno 10 minuti e sopravvive solo per tre giorni, fino al 25 aprile.
Secondo gli inquirenti, la piccola sarebbe morta per una grave insufficienza fetale «con conseguente stato d'ipossigenzazione e quindi con lesioni cerebrali», si legge negli atti dell'inchiesta. Il dottore del pronto soccorso e il ginecologo, secondo l'accusa, avrebbero rinviato per troppo tempo il momento dell'operazione, facendo giungere «la gestazione oltre il termine previsto dalle linee guida nazionali, in particolare oltre la 41ª settimana, che è il limite massimo per l'induzione del parto».
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Il Messaggero