Roma, morto per overdose ai Parioli, la fidanzata indagata crolla tra le lacrime: «La scritta sul petto è mia, ma era un gioco»

Roma, morto per overdose ai Parioli, la fidanzata indagata crolla tra le lacrime: «La scritta sul petto è mia, ma era un gioco»
«Un gioco, per me era solamente un gioco». E. G., 23 anni, è confusa. Prima nega alla polizia di averla scritta lei quella frase in arancione sul petto di...

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«Un gioco, per me era solamente un gioco». E. G., 23 anni, è confusa. Prima nega alla polizia di averla scritta lei quella frase in arancione sul petto di Giuseppe De Vito Piscicelli, il suo fidanzato che le aveva dormito accanto «per tutta la notte» prima di chiudere gli occhi per sempre, poi ammette: «Ma l'ho scritta con il pennarello, mica con il rossetto». La sua testimonianza non è nitida. La ragazza ricorda e non ricorda. Parla, poi fa mille passi indietro, «non so, non so». Forse si era drogata quella notte, magari aveva anche bevuto qualcosa, la mente era offuscata. Forse è per questo che martedì mattina è scivolata via all'alba dalla casa di Giuseppe in viale di Villa Grazioli, ai Parioli.

Il suo racconto viene preso con molta cautela dai poliziotti del commissariato. Il metadone a Giuseppe De Vito Piscicelli, 23 anni da compiere, glielo avrebbe passato proprio lei secondo quanto ricostruito dagli investigatori. Era la sua dose quotidiana presa al Sert che l'aveva da tempo in cura. Perché anche lei, E. G. aveva avuto dei problemi e stava cercando di superarli. Con Giuseppe si erano conosciuti nella comunità di recupero. Erano due anime libere che si erano trovate e unite. Non si separavano mai, selfie e messaggini come innamorati qualsiasi, come è giusto che sia a vent'anni.
SELFIE E MESSAGGI
Ma quell'ultimo messaggio scritto con il pennarello sulla pelle nuda, mentre lui le era steso accanto sul letto, accompagnerà Giuseppe per sempre: «Mi hai lasciato sola tutta la notte, mi vendicherò». Vendicarsi di cosa? Solo un gioco, solo uno scherzo, una frase di getto, ripete lei. Quando E. G. sgattaiola via dalla casa dei Parioli, saranno al massimo le 7 del mattino. Lei e Giuseppe avevano trascorso insieme anche la sera di domenica 29 aprile. Lei scatta ancora un selfie: lui a petto nudo sul letto, i suoi muscoli da palestra in bella vista, i capelli biondi, il viso d'angelo, dorme; lei accanto, vestita, gli occhi scuri di un cerbiatto. È la foto che Giuseppe sceglierà la sera prima di morire, lunedì 30, per il suo profilo Facebook.

Quando martedì mattina, giorno di festa, primo maggio, la mamma andrà in camera per svegliare il figlio sono le 12 passate. Arriva anche il 118, si tenta il massaggio cardiaco, si cerca di rianimare Giuseppe che, forse, non è morto da così tanto tempo. Ed E. G.? Non si trova, è andata via. «No, per me non era morto, non lo so, non lo so», dice lei. Dapprima gli inquirenti la indagano per omicidio colposo per poi contestarle la morte in conseguenza di altro reato per la cessione del metadone. L'esame tossicologico sul ragazzo stabilirà anche se Giuseppe abbia assunto altre droghe.Alessia Marani Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero