Roma, operato per sbaglio muore per infezione, sei mesi ai medici

Roma, operato per sbaglio muore per infezione, sei mesi ai medici
Si ritrovò l'intestino perforato durante un intervento per rimuovere dei calcoli alle vie biliari. Calcoli che non aveva. Ventotto giorni di agonia, poi la morte. Ci...

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Si ritrovò l'intestino perforato durante un intervento per rimuovere dei calcoli alle vie biliari. Calcoli che non aveva. Ventotto giorni di agonia, poi la morte. Ci sarebbe stata una svista nella lettura di una radiografia alla base del caso di malasanità che sette anni fa ha causato la fine di un paziente ricoverato al San Giovanni Addolorata. E che ora ha portato a una doppia virata giudiziaria. Ieri il tribunale ha condannato a sei mesi di carcere la radiologa e il chirurgo ritenuti protagonisti dell'errore, e qualche giorno fa all'apertura di un processo parallelo per altri quattro colleghi del reparto di Medicina Interna, che sono stati considerati colpevoli, in un approfondimento dell'inchiesta, di aver disposto l'operazione.


Il paziente morto dopo essere stato operato ai calcoli che non c'erano si chiamava Pietro Minichini, era un imprenditore di 71 anni, ed era finito in ospedale il 5 dicembre 2010 febbricitante e con dolori addominali. Per il pm Attilio Pisani, sarebbe stato ucciso per un errore, o meglio a causa di un equivoco. La radiologa nel giro di pochi giorni aveva redatto due referti: in uno segnalava dei calcoli, nel secondo li escludeva. Ma solo la prima certificazione verrà presa in considerazione dall'equipe medica e dal chirurgo che ha eseguito l'intervento, non necessario, durante il quale il paziente ha subìto la perforazione dell'intestino. «La mia diagnosi era giusta», si è giustificata poi la radiologa in aula. «Sono intervenuto in base all'esame che mi è stato consegnato», ha dichiarato invece il chirurgo, sotto interrogatorio. Dai primi accertamenti, nel pronto soccorso, i medici avevano escluso l'infarto. E man mano era state fatte altre diagnosi. Il resto lo ricostruisce il capo di imputazione. Il 15 dicembre la radiologa effettua la prima tac senza mezzo di contrasto e redige un certificato in cui «evidenzia una dilatazione focale del tratto distale della via biliare principale». Il certificato quindi non evidenzia un diverticolo duodenale, «ma in compenso segnala la presenza di spot ipointensi lasciando intuire la presenza di calcoli nelle vie biliari fuorviando così il medico endoscopista, che ha ritenuto in base alla certificazione, di eliminare i calcoli».

LE RESPONSABILITÀ

Il 20 dicembre si procede così all'operazione per via laparoscopica. Ma una complicanza nell'intervento procura la perforazione dell'intestino. Il paziente verrà sottoposto a una operazione d'urgenza da un altro chirurgo che decide di interviene col bisturi. Solo allora emerge che quei calcoli nelle vie biliari non c'erano e che l'operazione quindi non sarebbe stata necessaria. La perforazione, però, scatena «una serie di eventi che portano al decesso del paziente», in particolare uan grave infezione. Pietro Minichini muore il 2 gennaio 2011. La vedova, assistita dall'avvocato Stefano Maccioni, il giorno dopo presenta denuncia in procura. «Finalmente sono state accertate le responsabilità sulla morte di mio marito - ha commentato - Abbiamo deciso la via legale, con i miei figli, nella speranza che non si muoia più di malasanità». Il giudice Maria Rosaria Brunetti, oltre a condannare i due medici a sei mesi di carcere, ha disposto il risarcimento di centocinquanta mila euro per la parte civile, una provvisionale di cui dovrà farsi carico anche l'ospedale.

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Il Messaggero