Neonato soffocato al Pertini, la madre: «Ho chiesto aiuto, mi hanno detto “no”. E il bimbo è morto»

«Falso che abbia acconsentito a tenerlo sempre con me. Non ho avuto alternative»

Neonato morto soffocato al Pertini, la madre: «Ho chiesto aiuto, mi hanno detto “no”. E il bimbo è morto»
Ha sperato di potere dimenticare anche solo per un istante. Si era appena ristabilita almeno fisicamente e coccolata dall’affetto dei suoi cari stava cercando di riprendere...

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Ha sperato di potere dimenticare anche solo per un istante. Si era appena ristabilita almeno fisicamente e coccolata dall’affetto dei suoi cari stava cercando di riprendere faticosamente il suo cammino nella vita di tutti i giorni. Poi il caso è esploso. Il suo primogenito dato alla luce il 5 gennaio scorso è morto in ospedale tre giorni dopo mentre era accanto a lei che si era addormentata, nella notte, forse schiacciato e soffocato dal suo corpo di mamma che lo aveva appena allattato; la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta e la polizia adesso indaga per omicidio colposo, per ora contro ignoti. Adesso lei legge i commenti sui social delle altre mamme che dicono, in tante: «Poteva accadere anche a me». 

 

 

L’incubo

«Un incubo», dice la giovane donna, 29 anni, originaria della provincia a Nord Est della Capitale. Aveva voluto partorire al “Sandro Pertini” a Pietralata perché «è lì che sono nata anche io». Ma adesso è sgomenta, incredula, arrabbiata, rispetto a quel che le è accaduto. «Sto leggendo le dichiarazioni rilasciate dalla Asl 2 - spiega - dicono che hanno garantito tutta l’assistenza necessaria, che alle puerpere viene fatta firmare un’autorizzazione a tenere i figli con loro... Bellissime parole, peccato non siano veritiere». Sarà l’inchiesta avviata dai magistrati di piazzale Clodio a stabilire con esattezza la causa del decesso del suo bambino («nato apparentemente sano», come dicono entrambi i genitori), a cui aveva voluto dare un doppio nome, uno come quello della nonna. 
Ma lei di una cosa è assolutamente certa e lo ripete con forza: «Più volte ho chiesto in reparto di essere aiutata perché non ce la facevo da sola e di portare per qualche ora il bambino al nido per permettermi di riposare, eppure mi è stato detto sempre di no». Un “no” a cui non seguiva alcuna motivazione specifica da parte del personale sanitario: «Non è che si giustificassero in qualche modo - racconta affranta -. Dicevano che non era possibile e basta. E io rimanevo lì a dovermi occupare di tutto». E il tutto consisteva nella piena cura del neonato, tenuto conto che con le restrizioni anti-Covid in reparto non sono ammesse che brevi e isolate visite dei parenti: «Dovevo allattare il piccolo, cambiarlo, riporlo nella culletta accanto al letto, e ho dovuto farlo anche subito dopo il parto anche se ero sfinita». 

 

 

L’autorizzazione

La mamma dello sfortunato bebè era entrata in sala parto dopo 17 ore di travaglio. Le acque le si erano rotte alle 4 del mattino e anche quella notte non aveva chiuso occhio. Un fattore che non è bastato per impedire che nella Ginecologia del Pertini (uno dei maggiori punti di riferimento per le gestanti nella città di Roma con 916 parti registrati nel 2022) le fosse applicato il protocollo del “Rooming in” che permette alla mamma e al bimbo di condividere la stessa stanza h24. Una pratica che la neo-mamma non si aspettava. «Sia chiaro - dice - Io non ho firmato nessuno foglio sul Rooming in e, comunque, non c’era nessun’altra alternativa! Ho chiesto aiuto e non mi è stato dato». Il suo bimbo è stato dichiarato morto all’1,40 di quella maledetta notte. Lei si era risvegliata e ha capito che tutti erano in subbuglio. Quindi la denuncia alla polizia, «fatta dall’ospedale, senza avvisarci per altro...». 

 

 

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Il Messaggero