Armi e proiettili. Erano nascosti nella cantina di un medico del...
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IL PIED À TERRE
A incalzarlo nelle domande è il pubblico ministero Giovanni Musarò che intende dare la dimensione della pervasività e della forza intimidatoria del gruppo. Costanzo a domanda, risponde. «Che attività svolge?». «Medico al pronto soccorso di Anzio dal 2002». Quindi il racconto di quell'appartamento preso in affitto nella primavera del 2018 in via Rosario Livatino a Nettuno, in «un condominio fatiscente, in un appartamento diviso in due». E di cui la cantina era una pertinenza. Ma come era finita la chiave in mano a Italiano, poi arrestato nell'operazione "Tritone" condotta a febbraio 2022 dai carabinieri di via In Selci e condannato a vent'anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso? Costanzo rende in aula la sua versione: «Un giorno uscendo l'ho incontrato davanti all'appartamento diviso in due, ho visto un'ombra che mi sembrava una donna. Mi disse che un ragazzo gli prestava la casa per una relazione extraconiugale. Allora io gli dissi: io non ci sono quasi mai a casa, se ti serve me la guardi pure visto che qui ci sono brutti ceffi, basta che cambi le lenzuola. E gli ho imprestato un mazzo di chiavi». Il medico aggiunge che «la chiave della cantina era nel mazzo, non ci feci caso», l'unica chiave. Costanzo racconta che con Italiano aveva «rapporti saltuari», ma poi, a ulteriore domanda, riconosce di avere fatto da padrino al battesimo del figlio Lorenzo. Musarò è stupito: «Un professionista come lei... Prima di Anzio dov'era?». «A Roma». «Lei è calabrese, non sapeva da quale famiglia veniva Italiano?». «Sapevo che aveva problemi», risponde. «Che problemi?». «A Rosarno, problemi per motivi vari». «Ma li immagina questi problemi?», insiste il pm. E alla fine Costanzo si fa più esplicito: «Sì non sono scemo... sono legati alla ndrangheta. Pure la madre è stata costretta ad andarsene da Rosarno, il padre fu ucciso». «E da chi lo ha saputo?». «Dall'infermiera che me lo presentò ma lei ora è morta», la replica del dottore. «E uno così le chiede di fare da padrino, ma lo sa che lavoro faceva?», batte sul punto il pm. «Io sapevo.. il parquettista». «E in realtà?». «In realtà no.. si arrangiava...». Il blitz nella cantina di via Livatino avvenne alla fine del novembre 2019. Fu una perquisizione scattata nell'ambito delle indagini propedeutiche all'operazione Tritone che portò all'arresto di 65 persone e al commissariamento dei Comuni di Anzio e Nettuno. Per quell'episodio Costanzo è stato indagato e condannato per la detenzione dei proiettili. Ma in aula l'altro giorno ha ricordato, sempre rispondendo agli inquirenti, anche le visite «non gradite» ricevute nel corso del 2020 da parte del clan che rivendicava una presunta sparizione di droga dalla cantina. In particolare a terrorizzarlo è un «albanese grosso grosso» che pretendeva mezzo chilo di coca o ventimila euro. Costanzo spiega che «in cantina io non ci ero andato più» e che si accorse che mentre tutte le altre porticine di lamiera erano integre, su quella della sua cantina «c'era una feritoia, come se fosse stata tagliata.. Allora io pensai: qui mi mettono in mezzo e non scesi più». L'albanese, spiega Costanzo in aula, faceva illazioni dal momento che il medico stava traslocando: «Mi chiedeva come hai comprato casa? Coi proventi della droga? Ma io la casa me la sono sudata lavorando, la droga non la tocco, non so nemmeno quanto vale e l'ho buttato fuori di casa e sono andato dai carabinieri a denunciare tutto».Il Messaggero