Ndrangheta a Roma: ecco come i clan guadagnavano e liquidavano le attività dopo averle "spremute"

Secondo gli inquirenti il gruppo abbandonava le società ritenute compromesse, o dalle quali non si poteva trarre un guadagno ulteriore

Ndrangheta a Roma: ecco come i clan guadagnavano e liquidavano le attività dopo averle "spremute"
Un sistema basato sul gudagno massimo da una singola attività per poi "gettarla" senza mezzi termini. Il maxi-blitz compiuto questa mattina a Roma nell'ambito...

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Un sistema basato sul gudagno massimo da una singola attività per poi "gettarla" senza mezzi termini. Il maxi-blitz compiuto questa mattina a Roma nell'ambito dell'inchiesta, che su disposizione della Dia, ha fatto scattare le manette ai polsi per 26 persone titenute affiliati ai clan calabresi della ndrangheta su Roma «ha consentito di ricostruire l'applicazione sistematica di uno schema collaudato, di un modello finanziario ciclico».

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Il metodo finanziario dei clan nella gestione delle attività

Secondo gli inquirenti il gruppo abbandonava le società ritenute compromesse, o dalle quali non si poteva trarre un guadagno ulteriore, e ne utilizzava subito di nuove. Il gruppo inizialmente acquisiva la ditta e i contratti di locazione distraendone i beni (cioè cambiava l'uso o le finalità di qualunque bene materiale rientrante all'interno della disposizione patrimoniale della ditta) così da non farli rientrare nelle dichiarazioni di bancarotta delle società da abbandonare.

Poi individuavano dei nuovi intestatari fittizi attraverso i quali continuare a possedere le attività commerciali e mantenere il controllo delle stesse. L'attività di indagine ha consentito di ricostruire, in termini di gravità indiziaria, «come i vertici e i componenti della locale di Roma, acquisiti gli esercizi aziendali, ne acquisissero di frequente anche gli immobili, versando, all'atto dell'acquisto, un anticipo spesso insignificante diluendolo, poi, in centinaia di rate, garantite da cambiali che, secondo le intercettazioni, erano in realtà pagate in contanti».

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Il Messaggero