Medici, in sala operatoria fatevi un bel selfie. Con la videocamera

Giovanna Fatello, morta a 10 anni durante un intervento chirurgico
Giovanna Fatello ha smesso di vivere il 29 marzo 2014. Lei non può parlare per dirci cosa è successo. Valentina e...

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Giovanna Fatello ha smesso di

vivere il 29 marzo 2014. Lei
non può parlare per dirci cosa
è successo.
Valentina e Matteo



Si parla tanto di trasparenza, è una parola che ci piace un sacco. La pretendiamo dalle istituzioni, dalle amministrazioni pubbliche, persino dai ristoranti: quando la cucina è a vista ci sentiamo rassicurati dall’idea di poter verificare con i nostri occhi che i fornelli sono puliti e che il cuoco non si mette le dita nel naso. Dunque ci potremmo aspettare che negli ospedali e negli ambulatori medici fosse garantito ai pazienti il massimo grado di trasparenza. Purtroppo non è così, e lo sa bene chiunque abbia vissuto l’esperienza di un ricovero in corsia o di un passaggio al pronto soccorso.

Senza entrare qui in discorsi troppo impegnativi sulla sanità italiana, che richiederebbero la competenza di un esperto, c'è però una misura facile facile che viene in mente a chiunque e che sicuramente migliorerebbe la situazione almeno di un po’: perché non registrare con una videocamera tutto quello che succede nelle sale operatorie? In alcune strutture sanitarie romane succede già. Anche i medici dovrebbero essere favorevoli: si sa che tra i chirurghi si è diffusa la moda di scattare selfie prima e dopo le operazioni, potrebbero unire l’utile al dilettevole.

Il 29 marzo del 2014 nella clinica Villa Mafalda una bambina di dieci anni di nome Giovanna è morta durante un banalissimo intervento chirurgico all'orecchio. Dopo quasi due anni di indagini e di ipotesi, ancora non si è accertato cosa sia davvero accaduto. Ci fosse stata una scatola nera, come nelle cabine di pilotaggio sugli aerei, ora come minimo sapremmo la verità. Come massimo, Giovanna sarebbe ancora viva, avrebbe dodici anni e andrebbe alle medie.

pietro.piovani@ilmessaggero.it  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero