Medici di base in pensione, la Regione Lazio corre ai ripari: «Continuate a lavorare»

Entro i prossimi due anni fuori 1.320 dottori di famiglia: non saranno sostituiti. E i sanitari che decideranno di rimanere non avranno alcun limite di tempo

Medici di base in pensione, la Regione Lazio corre ai ripari: «Continuate a lavorare»
Il dato è inevitabile e incontrovertibile: «Entro i prossimi 24 mesi il 30% dei medici di famiglia andrà in pensione», fa di conto l’assessore...

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Il dato è inevitabile e incontrovertibile: «Entro i prossimi 24 mesi il 30% dei medici di famiglia andrà in pensione», fa di conto l’assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato. Non è affatto una quota marginale perché si tratta di almeno 1.320 camici bianchi dei 4.400 convenzionati con il Lazio a cui si dovrebbero poi aggiungere anche gli ospedalieri. Ma fermandoci al territorio e a quelle figure che per prime sopperiscono ai bisogni della popolazione, il dato è preoccupante per il semplice - e drammatico - aspetto che ad ogni uscita non corrisponderà affatto un nuovo ingresso. Ecco che così andrà consolidandosi quell’espressione di “zona carente”. 

 

 

Zone carenti

Cosa significa? In un quartiere o in una città di provincia mancherà il medico di famiglia o anche il pediatra di libera scelta, perché poi il problema dei pensionamenti senza nuovi ingressi riguarda anche quei medici che curano i bambini da 0 a 14 anni. Una situazione inevitabile originata anche dal famoso “numero chiuso” per le facoltà di Medicina che ha penalizzato l’offerta e la domanda. Non bisognerà aspettare due anni per vedere la situazione incrinarsi, già oggi diversi quartieri della Capitale - da Centocelle a Tiburtino ad esempio - non hanno più sufficienti medici per la popolazione residente. E lo stesso accade in provincia: da Rieti a Viterbo. Soluzione? In attesa che si formino nuovi medici e che questi scelgano la medicina del territorio come occupazione, la Regione ha dato carta bianca alle Asl. «Siamo ben consapevoli del problema - aggiunge ancora l’assessore - e per cercare di tamponare abbiamo dato alle Aziende sanitarie locali tre possibilità di scelta per sopperire all’assenza futura di personale». 

 

Le soluzioni

«La prima è quella che prevede l’innalzamento del “massimale” di mutuati», ovvero di pazienti iscritti a singolo medico. Ad oggi infatti ogni medico di famiglia può avere 1.500 iscritti. «La quota - argomenta D’Amato - potrà arrivare a 1.800». A questa segue poi la possibilità di restare in servizio anche dopo l’età pensionabile. «Naturalmente è una scelta che deve e può fare il professionista ed è dunque su base volontaria», puntualizza d’Amato, ma se un medico vuole continuare a lavorare potrà farlo senza limiti temporali. Infine la possibilità, sempre per le Asl, di nominare nuovi medici iscritti al secondo anno di specializzazione dandogli non più di 780 assistiti. In questo modo si dovrebbe riuscire a tamponare la situazione senza che questa diventi una vera e propria emergenza nell’attesa e nella speranza che a livello nazionale si cambi l’approccio che regola il lavoro dei medici di famiglia. «L’Italia e il Lazio di conseguenza - conclude d’Amato - è l’unico Paese in Europa che prevede per il medico di famiglia un contratto “ibrido”». Di fatto questi camici bianchi sono per metà libero professionisti è per metà dipendenti del Servizio sanitario nazionale e regionale nel momento che stipulano una convenzione con una determinata Asl. Per semplicità hanno contratti diversi dai medici ospedalieri, dipendenti pubblici a tutti gli effetti.

 

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Il Messaggero