Matteo, «Io laureato in salotto e in videochat con i professori»

L'ambulanza in sottofondo e il salotto come sfondo
Niente bacio accademico, nessun appello al microfono, nessun corridoio da attraversare, nessuna stretta di mano con i docenti della commissione, nessuna bottiglia da agitare come...

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Niente bacio accademico, nessun appello al microfono, nessun corridoio da attraversare, nessuna stretta di mano con i docenti della commissione, nessuna bottiglia da agitare come nel Gran Premio di Formula 1 e nemmeno la corona di alloro. Anzi, quella sì. La corona da neodottore in Scienze della Comunicazione, a Matteo Castellani, romano, 23 anni, l'ha ricamata a tempo record la mamma «sradicando un cespuglio di alloro nel giardino condominiale e recuperando fiocchi e nastri rossi non so dove in giro per casa», racconta lui stesso con un moto di tenerezza. 


La laurea al tempo del Coronavirus, tele discussione e abbracci virtuali per il 25enne Cristiano Burla

Matteo è uno dei neolaureati in conference call di Roma Tre. L'università non ospita più lezioni e sedute di laurea a causa dell'epidemia del coronavirus. É il primo laureato della sua famiglia che come lui immaginava una bella  cerimonia in Aula Magna. E invece è rimasto a casa all'Eur, a Roma. «Ma pazienza è andata così», dice Matteo. «Eravamo in salotto, c'erano i miei genitori e mio fratello, mio padre è tornato apposta dal lavoro e mi ha guardato commosso». 

Nei giorni scorsi gli studenti hanno fatto le prove generali davanti al computer con i professori che hanno chiesto massima collaborazione: «Mi raccomando ragazzi, vestitevi bene e scegliete uno sfondo decente quando ci collegheremo per ascoltare l'esposizione della vostra tesi di laurea». 
Matteo ha indossato tutto quello che aveva programmato prima dello scoppio della quarantena: abito scuro, gilet, cravatta, le scarpe eleganti e ha spruzzato anche il profumo. Non ha dormito la notte prima della sua laurea anche se non è mai uscito di casa per laurerarsi. Ha percorso il breve tratto che separa la cameretta dal salone, si è seduto, ha acceso il computer e ha cominciato la videochat con la commissione di laurea stando ben attento a disattivare microfono e webcam quando richiesto dai docenti. Mentre discuteva, tra rumori soffocati e persino il suono di un'ambulanza che correva incontro all'ennesima richiesta di aiuto di qualche contagiato dal coronavirus, ha parlato dell'innovazione tecnologica e del cambiamento epocale che il digitale sta imprimendo alle vite di tutti noi. La tesi di laurea era incentrata sul marketing relazionale. I docenti erano tutti in giacca e cravatta, collegati ognuno da casa propria. 


Poi, dopo la proclamazione, un breve brindisi con la famiglia, un abbraccio virtuale a distanza con il migliore amico, le videochiamate con i parenti lontani, «Bravo Matteo, come dobbiamo chiamarti ora? Dottore?», e poi, di nuovo, le pantofole. Perché, prima e dopo i venti minuti che segnano il suo passaggio nella vita da studente a  giovane in cerca di occupazione, Matteo ha continuato e continua a restare a casa.  Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero