«Mi dispiace di non aver partecipato, ma avevo un impegno di lavoro». Massimo Colomban, l’assessore alle Partecipate chiamato da Grillo e Casaleggio lo scorso...
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Perché?
«Il mio è un assessorato di scopo, quindi a tempo, sto completando tutta la riorganizzazione della governance delle partecipate. Il gruppo di lavoro va avanti spedito, il dossier è a buon punto, presto lo presenteremo».
La danno in uscita a brevissimo.
«La sindaca lo sa: sono stato chiamato per una missione, a settembre ritengo che il mio compito potrà dirsi esaurito».
Sarà una perdita notevole per gli equilibri del Campidoglio: è identificato come l’uomo della Casaleggio dentro la giunta, l’assessore di punta.
«Troppo buono. Tutti siamo utili, nessuno è indispensabile».
Lei è entrato in corsa dopo l’arresto di Marra, è un imprenditore del Veneto laborioso e pragmatico: la sua idea su questo primo anno di Virginia Raggi?
«Non mi piace dare giudizi, perché il ragionamento sarebbe molto complesso e sfaccettato. Posso dire cosa ho trovato».
Prego.
«Ho trovato in giunta una squadra unita e vogliosa di fare, composta da giovani intraprendenti e da elementi più grandi ed esperti, un bel mix, insomma».
Il cambiamento, a detta anche di big come Luigi Di Maio, non è stato percepito a Roma.
«Il Comune di Roma è una sfida mastodontica. Ci sono dossier e settori che non sono mai stati affrontati e soprattutto risolti. Ci sarà un motivo per cui il Campidoglio ha un debito gestito da un commissario da 13 miliardi di euro, o no?».
Secondo lei la politica che vi ha preceduto ha rubato tutti questi soldi?
«No, non voglio dire questo e non ho gli elementi. Ma ci sono stati troppi errori e sottovalutazioni. Anche da parte del Governo nei riguardi della Capitale».
E’ stato lei il primo a chiedere a Palazzo Chigi 1,2 miliardi di fondi per il Campidoglio, concetto ripreso dalla sindaca anche ieri in conferenza stampa.
«E’ vero: è una cifra precisa frutto di uno studio equiparato con il territorio di Milano. Perché la Capitale deve avere meno fondi?»
E’ fiducioso sul sì del governo?
«Si tratta di volere bene a Roma».
Torniamo a lei. Il suo assessorato è quello più delicato e strategico perché è responsabile delle società, a partire dalle grandi malate, Ama e Atac. Visto che sta per lasciare: è riuscito a centrare gli obiettivi?
«Penso ai trasporti. Il vero problema che abbiamo riscontrato è stato relativo alla mancata programmazione. Ma si può stare con solo mille autobus gran parte dei quali ultra-datati?».
Evidentemente no. Ma a preoccupare sono anche i conti delle società.
«Non critico le precedenti amministrazioni, ma la situazione è molto complessa. Volevo chiudere i bilanci di Atac in pareggio ma non ce la faremo».
Perché?
«Per i debiti e crediti che ha la società. A volte sono delle poste fantasma, altre dei fondi che dobbiamo accantonare in maniera cautelativa perché magari c’è in ballo la richiesta di risarcimento da 100 milioni di euro».
Quindi Atac non chiuderà il bilancio in pareggio nemmeno quest’anno?
«Già nel 2016 ci stavamo riuscendo, ma visto che noi vogliamo ripartire con bilanci puliti, abbiamo dovuto prevedere questi fondi per i rischi. La verità è un’altra».
Qual è?
«Ci vorranno anni per cambiare sul serio Roma, da fuori non si può capire».
Ma in campagna elettorale Virginia Raggi aveva promesso di cambiare tutto in tempi rapidi, se lo ricorda?
«La sindaca è una donna davvero in gamba che lavora con ritmi altissimi, ce la sta mettendo tutta».
Il 7,5 che si è assegnato è eccessivo?
«Non do giudizi».
Ma i romani sì. E questo voto, risultati alla mano, a molti è sembrato alto. Lei concorda con il 7,5?
«Non mi do mai voti alti, ma sempre bassi perché sono un perfezionista e così riesco a ottenere il massimo».
La sindaca è stata troppo generosa con se stessa?
«Ci sta, dai, si è data un voto di incoraggiamento». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero