Mafia tiburtina, condannati undici esponenti del clan

Mafia tiburtina, condannati undici esponenti del clan
Prima tranche di condanne contro il clan che gestiva lo spaccio tra Tivoli e Guidonia Montecelio. Per undici dei 39 arrestati nell’operazione Tibur dello scorso marzo...

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Prima tranche di condanne contro il clan che gestiva lo spaccio tra Tivoli e Guidonia Montecelio. Per undici dei 39 arrestati nell’operazione Tibur dello scorso marzo è arrivata la condanna di primo grado. Gli imputati, che avevano scelto il rito abbreviato, hanno ricevuto un totale di 112 anni di carcere, sui 140 richiesti dalla procura. Per loro il capo di imputazione principale è associazione a delinquere finalizzata alla cessione di stupefacente. Nel blitz era finito anche un avvocato di Roma indagato perché ritenuto responsabile di curare i rapporti tra i carcerati e gli altri a piede libero.


I FATTI
L’operazione condotta dai carabinieri di Tivoli nello scorso marzo, a cui avevano partecipato oltre 300 militari col supporto di un elicottero ed unità cinofile, aveva permesso di disarticolare la così detta “Cosa Nostra tiburtina”, una vasta organizzazione che gestiva diverse piazze di spaccio nell’hinterland tiburtino. Il clan, guidato secondo le ricostruzioni della Procura da Giacomo Cascalisci morto suicida nell’ospedale del carcere Le Molinette di Torino lo scorso agosto, per due volte era riuscito ad organizzarsi dopo maxi-retate. Cascalisci, dopo la retata del 2014, era fuggito in Spagna. Una prima volta dopo gli arresti effettuati dalla polizia nel gennaio del 2014 e poi dopo il blitz di marzo. I carabinieri di Tivoli, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia, sono intervenuti una seconda volta nel dicembre scorso fermando molte persone già finite in manette nove mesi prima.

I RUOLI

Nel clan, secondo quando scoperto dai carabinieri in due anni di indagini, si erano determinati ruoli diversi, tra il capo, due colonelli che dirigevano lo spaccio e poi cassieri e vedette. Alle donne della banda era per lo più demandata la gestione dei conti. Quando ormai la banda aveva capito di essere finita nel mirino dei carabinieri, anziché rallentare la prese la banda ha iniziato a pensare a come intimidire gli inquirenti. Nessuno dei progetti è andato in porto ma, comunque, le vedette della gang avevamo cominciato a pedinare le forze dell’ordine per risalire alle abitazioni e, quindi, minacciarne le famiglie ed incendiarne le autovetture. Il giudice Nicolò Marino ha condannato, nel dettaglio: Elisabetta Placidi a 10 anni, Franco D’Andrea a 16 anni ed 8 mesi, Daniele Zito a 12 anni, Federico Visicchio a 9 anni e 4 mesi, Federica De Bonis a 10 anni, Danilo Di Paolo a 8 anni, Alessio Pelliccioni a 10 anni, Federico Grisci a 6 anni e 40 mila euro di multa, Alexsander Salvatori e Michele Kurczak a 9 anni e 4 mesi, Federico Cacioni a 10 anni. Per loro è scattata anche l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Per i condannati a meno di 10 anni il giudice ha predisposto tre anni di libertà vigilata ed un anno a Visicchio, Di Paolo, Grisci, Salvatori e Kurczak. Condanne ritenute esagerate dai legali degli imputati. «Per il mio assistito, Cacioni, è una condanna spropositata», ha commentato l’avvocato Fabio Frattini. «Ricorreremo in Appello», ha spiegato il legale di Danilo Di Paolo, David Bacecci.
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Il Messaggero