Un appello contro la sentenza che accusa, allo stesso tempo, il tribunale di Roma di aver stravolto senza motivo l'impianto della procura di Roma che l'ha...
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Il presunto capo dell'organizzazione, Massimo Carminati, secondo la sentenza svolge due ruoli molto diversi tra loro. Ma Carminati, scrive la procura, è sempre Carminati, «non può essere un delinquente da strada a capo di una banda di delinquenti da strada quando staziona al benzinaio per poi trasformarsi in un abile faccendiere dedito solo alla corruzione quando fa affari con Buzzi, per poi ritornare, ma solo per un momento e solo uti singulus, delinquente di strada quando si tratta di risolvere, per Buzzi, una controversia con soggetti di elevato spessore criminale». L'unico motivo per «segmentare i fatti provati», scrive la procura è «giustificare la esclusione del carattere mafioso della associazione».
La giurisprudenza, invece, ha da tempo accettato una lettura della mafia molto diversa da quella «con la coppola e la lupara, che spara e uccide», visione «stereotipata» di cui il tribunale sarebbe rimasto «vittima». Le sentenze dei giudici supremi, scrivono da piazzale Clodio,sono da tempo attente a «individuare le trasformazioni socio-criminali delle mafie, sia quelle tradizionali che quelle nuove, capaci di insediarsi in territori diversi da quelli tradizionali con metodi nuovi e diversi, ma con le identiche finalità di acquisizione di potere economico, mediante l’assoggettamento e l’omertà». Una visione in cui ricade anche Mondo di mezzo e dove le minacce «obblique e implicite» che passano anche attraverso la corruzione risultano essere «tipicamente mafiose». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero