Mafia e appalti, Odevaine e il nuovo cognome per celare una condanna

Mafia e appalti, Odevaine e il nuovo cognome per celare una condanna
Un cognome cambiato per celare una condanna per droga, poi beneficiata dall'indulto, e non inficiare le sue possibilità di carriera nelle istituzioni. ...

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Un cognome cambiato per celare una condanna per droga, poi beneficiata dall'indulto, e non inficiare le sue possibilità di carriera nelle istituzioni.


Il segreto. Questo il segreto di Luca Odevaine, già vice capo di gabinetto con Walter Veltroni e capo della polizia provinciale con Nicola Zingaretti, svelato nell'ordinanza dell'operazione dei Ros e della Procura di Roma che lo descrive come anello fondamentale dell'organizzazione mafiosa per il business sugli immigrati.



Cognome galeotto. Odevaine è descritto dal gip Flaminia Costantini come «un signore che per non compromettere le sue possibilità istituzionali si fa cambiare il cognome a seguito di condanne riportate». La condanna risale al 1989: Odevaine fu condannato «per il reato di stupefacenti alla pena di anni 2 di reclusione, pena per la quale gli è stato concesso l'indulto nel 1991 e la riabilitazione nel 2003».



In Usa più attenti. Una circostanza, rileva il gip nell'ordinanza, «di cui nessuna delle amministrazioni interessate si accorge», proprio per l'escamotage del cognome cambiato. Ad accorgersene però è «l'amministrazione Usa, che gli nega il visto d'ingresso per i suoi precedenti penali, fatto di cui l'indagato si duole assai, proprio mentre commette gravissimi reati contro la Pubblica amministrazione».



Visto negato. Nell'aprile del 2014 «il Dipartimento di Stato americano, dopo aver esperito gli accertamenti del caso, ne respinse il visto d'ingresso, in conformità ad una loro legge nazionale». In un'intercettazione Odevaine commenta con disappunto: «sai che gli americani mi hanno respinto il visto... mi hanno messo l'articolo di una legge... e mi hanno citato l'articolo di una legge che dirà che se uno è stato condannato non può andà negli Stati Uniti cioè una roba da matti... è veramente una cosa assurda, cioè in una democrazia come quella cioè che uno abbia avuto una condanna 26 anni fà che sia stato riabilitato e comunque ha avuto ruoli pubblici e tutto quanto tu non puoi andà negli Stati Uniti...».
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Il Messaggero