Giuseppina cammina con due fagotti stretti al petto, un telo bianco che non li proteggerà. Le immagini sono confuse, la nebbiolina del mattino non aiuta. Si è...
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LE URLA DISPERATE
Francesco D.P., ingegnere quarantenne, aveva appena scoperto che la moglie era uscita con la bambine senza prendere né cellulare né carrozzine. Un tarlo deve essersi impadronito di lui, per pensare al peggio, per farlo impazzire di paura, «è andata via con le bambine, ora non ho più niente» ripeterà a chi lo incrocia, al mercato Testaccio, ai vicini, nel commissariato di polizia. «Sì, è mia moglie», intorno alle 11 riconoscerà il corpo recuperato dai sommozzatori all’altezza di Ponte Marconi. Delle neonate ancora non c’è traccia. Anche ieri sono continuate senza sosta le ricerche di Sara e Benedetta, le due gemelline scomparse nel fiume Tevere dopo esser state gettate da ponte Testaccio da Giuseppina Orlando, 38 anni. I controlli si sono interrotti con il buio e riprenderanno oggi, fino alla foce del Tevere. Due i mezzi nautici coinvolti che setacciano le acque mentre un elicottero sorvola incessantemente l’area, in campo sommozzatori della polizia fluviale e dei vigili del fuoco. Su e giù con l’ecoscandaglio si cercano le piccole lungo la corrente che porta a valle, direzione Fiumicino. I corpicini potrebbero esser rimasti incagliati a fondo, nessuno ha il coraggio di pensare altro. Anzi, sì, a Giuseppina, 38 anni proprio oggi, che si era trasferita da Agnone (Isernia) a Testaccio per quella gravidanza difficile, una gemellina morta dopo il parto, le altre due nate con quasi 4 mesi di anticipo. Benedetta dimessa dal Gemelli a fine novembre, Sara arrivata a casa martedì. Entrambe non erano in perfette condizioni di salute.
LA SOLITUDINE
Mamma e papà avevano attaccato il fiocco rosa alla porta al piano terra, comprato regali, i parenti erano venuti a Roma, al loro fianco in questa lunga estenuante battaglia. Forse, come sempre accade, tutti a pensare alle condizioni di salute delle piccole, lei stessa per prima, ma nessuno a supportarla mentre prendeva colpi bassi dalla vita lontana dal suo mondo e dalla normalità. Annientata da un sogno infranto e sofferto, non ha avuto il tempo, la forza di guardarsi intorno, di chiedere solidarietà in quel quartiere popolare dove tutti si conoscono ma nessuno sa niente di lei, dove alle spalle del suo palazzo, sventola la bandiera del Roma club e c’è un negozio, una bottega d’arte che non vende solo borse e collane ma promuove iniziative a favore delle donne nell’ambito del sociale. Non ha avuto modo di abituarsi alla città, nel suo andare e venire dall’ospedale, mai una bella notizia da tanti mesi e lei a far finta di essere ancora una mamma forte. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero