"Made in Rebibbia": in carcere si impara l'arte della sartoria

La vita può ripartire anche dal carcere. Nel penitenziario romano di Rebibbia s'insegna l'arte della sartoria. Quindici allievi, per quattro giorni a settimana, sei...

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La vita può ripartire anche dal carcere. Nel penitenziario romano di Rebibbia s'insegna l'arte della sartoria. Quindici allievi, per quattro giorni a settimana, sei ore al giorno, imparano come tagliare, cucire e confezionare un abito sartoriale. E' il progetto “Made in Rebibbia – Ricuciamolo insieme”, nato per iniziativa di Ilario Piscioneri, presidente della storica Accademia Nazionale dei Sartori, fondata nel 1575, che ha voluto trasmettere le sue conoscenze ai detenuti, per offrire loro un'altra possibilità di vita. «Volevo cercare dei ragazzi con la voglia di apprendere questo mestiere. Fuori ce ne sono tanti, ma qui dentro sono più motivati. Infatti sono rimasto stupito, perché molti di loro hanno bruciato le tappe».


Siglato l'accordo con l'Istituto penitenziario di Rebibbia e grazie alla sponsorizzazione di BMW Roma, che ha finanziato l'acquisto di materiale didattico ed attrezzature, lo scorso settembre sono iniziate le lezioni, che durano come un anno scolastico e prevedono un percorso formativo di tre anni, al termine del quale, i detenuti-sarti saranno pronti per il lavoro professionale. Dentro l'aula di sartoria di Rebibbia gli errori commessi nella vita passata non contano. Per quelli, ognuno sta scontando la propria pena. Gli errori che contano, sono quelli che si commettono quando si taglia una stoffa o si cuce la manica di una giacca. Da quelli s'impara. E la soddisfazione è enorme, perché il lavoro è realmente uno strumento di rieducazione sociale. Tra le macchine per cucire, i fili e le stoffe ci sono due sarti. In loro c'è la passione del mestiere e la voglia di aiutare. «I ragazzi sono motivati ed apprendono facilmente» dice Giuseppe Bertone che viene da Rapallo, «io mi faccio 400 chilometri al giorno, vengo da Ascoli e sono orgoglioso di loro» aggiunge il maestro sarto Franco Mariani.
 

Per gran parte dei 15 detenuti del progetto “Made in Rebibbia”, questa attività è iniziata come un passatempo per sfuggire alla noia della detenzione. Poi hanno scoperto la creatività e acquisito la consapevolezza di apprendere un mestiere. «Sto realizzando il mio futuro» dice Massimo «non avevo mai preso un ago in vita mia ed in pochi mesi ho già cucito tre giacche. In carcere ho scoperto di avere un dono». «Nella mia vita non avrei mai pensato di fare il sarto» aggiunge Andrea, uno dei primi a fare parte del progetto, «per me è una bella soddisfazione, perché fa piacere sapere che possiamo ancora imparare». Manuel ha iniziato sette mesi fa, ora è in grado di realizzare giacca e gilet «noi veniamo dalla strada ed abbiamo commesso degli errori. Non sapevamo nulla di questo mestiere, ma è fondamentale per il nostro reinserimento nella società». Filippo ha 47 anni, è molto attento mentre sta cucendo la manica di una giacca eppure «all'inizio non mi sentivo predisposto, ma con l'impegno eccomi qua. Nulla è impossibile». A fine corso, il progetto “Made in Rebibbia”, prevede la consegna di un diploma per ogni allievo e la possibilità di partecipare ad una sfilata con gli abiti realizzati. «Il pensiero più bello» aggiunge Filippo «è far vedere alla mia famiglia ed ai miei figli, che essere stato qui dentro per anni, non è stato tempo perso perché ho usato la mia creatività». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero