Se la lotteria aiuta a salvare i nostri tesori

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“Michelangelo davanti al Mosè: perché non parli?”.  @galimberticr Se il Mosè si mettesse...

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“Michelangelo davanti al Mosè: perché non parli?”. 

@galimberticr

Se il Mosè si mettesse a parlare direbbe a Michelangelo: ti ringrazio tanto, ma ringrazio un po’ anche il gioco del lotto. Che cosa c’entra la lotteria? C’entra perché grazie ai soldi delle giocate è stato restaurato - ed è bellissimo nella chiesa di San Pietro in Vincoli - il complesso michelangiolesco della tomba di Giulio II di cui fa parte la celebre statua di Mosè. Ci sarà stato del resto un motivo per cui gli illuministi, nemici della superstizione popolare in cui facevano rientrare anche il gusto “irrazionale” del gioco inteso come «tassa per gli idioti», consideravano il lotto un fattore di sviluppo culturale. Perché già allora, nel ‘700, le giocate finanziavano i musei.

A Londra, per esempio, il primo ponte sul Tamigi e il nucleo originario del British Museum furono finanziati con la lotteria. Per non dire dei Musei Vaticani, a Roma, dove la dottrina cattolica lanciava fuoco e fiamme sul vizio delle scommesse ma la Santa Sede sapeva bene come utilizzare i proventi di quel vizio. Innocenzo XII usò le entrate del lotto per completare palazzo Montecitorio (dove anche adesso si cerca di lottare, autolesionisticamente, contro il gioco legale). Clemente XII fece la stessa cosa con la Fontana di Trevi. E di esempi di questo tipo se ne potrebbero fare moltissimi. Alcuni minimi ma gustosi. I monaci di San Lorenzo Maggiore, a Napoli, ai primi del ‘700 si erano fatti biscazzieri, dentro una sorbetteria, per racimolare denaro utile a rimettere a posto la loro chiesa. Il Mosè di Michelangelo sarebbe stato dunque capacissimo di attirare le masse al gioco dicendo: venghino, signori, venghino.

mario.ajello@ilmessaggero.it
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Il Messaggero