L'architetto con la strana mania di trasformare le case in depositi

L'architetto con la strana mania di trasformare le case in depositi
Al civico 2 di via Guido Reni la chiamano la “tedesca” per via del carattere scontroso, poco cordiale. Dell'architetto Lidia Soprani, nota designer ambientale e...

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Al civico 2 di via Guido Reni la chiamano la “tedesca” per via del carattere scontroso, poco cordiale. Dell'architetto Lidia Soprani, nota designer ambientale e proprietaria del terrazzo stracarico di piante e vasi che è venuto giù nel crollo dell'edificio di lungotevere Flaminio 70, non c'è traccia. In via Reni la professionista ha la residenza, in un appartamento al secondo piano che, dicono gli inquilini, dopo averlo ereditato dalla madre, abita sporadicamente. Le indagini sulle cause che hanno portato al crollo dello stabile a pochi passi da piazza Gentile da Fabriano sono in corso e non è escluso che proprio il peso di quel giardino pensile, arredato negli anni e poi abbandonato dalla Soprani, abbia contribuito al crollo. Ipotesi che qualora dovesse mostrarsi fondata, non desterebbe alcuna meraviglia tra i condomini dell'edificio in cui l'architetto ha la residenza.

«Anche noi - racconta un'inquilina, Alessandra Simi, che abita proprio sotto l'appartamento della Soprani - abbiamo avuto negli anni un sacco di problemi proprio per il modo in cui l'architetto tiene un suo bene: infiltrazioni, cattivi odori, scarafaggi e persino topi». Non soltanto diverbi, insomma. Ma accesi contrasti.
 

LA TESTIMONIANZA
«Sono entrata solo una volta in quell'appartamento - prosegue la Simi - perché avevo delle profonde infiltrazioni d'acqua, la Soprani per mesi ha fatto resistenza, non voleva far entrare nessuno, ma poi alla fine ha dovuto cedere e sono rimasta impietrita dallo scenario che ho avuto davanti». «Non si riusciva a compiere un passo - conclude l'inquilina - c'era di tutto: scatoloni, vestiti, giornali un ammasso di roba». «Difficile poterla definire una casa - aggiunge un altro condomino di via Guido Reni, Bruno Monachesi - è più un magazzino, un deposito non ordinato». «Non ho difficoltà - prosegue il condomino - a immaginare lo stato in cui versava il terrazzo nell'edificio crollato sul lungotevere».

Rivolge a malapena un buongiorno, l'architetto Soprani a chi la incontra per le scale, «carica di buste e scatole - aggiunge Bruno - per poi uscire sempre a mani vuote; sono nate persino leggende e racconti su quella casa». Dal balcone della Soprani che affaccia proprio nel cortile del signore Monachesi al primo terra si vedono finestre divelte, serrande rotte. «A volte - prosegue Bruno indicando il terrazzo - escono i topi e persino gli scarafaggi, tante volte abbiamo chiesto anche nelle riunioni di condominio che la proprietaria provvedesse a pulire l'appartamento, nulla da fare».
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Il Messaggero