L'anfiteatro privato dell'imperatore

L'anfiteatro privato dell'imperatore
Era il secondo anfiteatro di Roma dopo il Colosseo, che esisteva già da oltre un secolo. Tuttavia, era riservato all'imperatore e alla sua corte. Se ne riconoscono...

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Era il secondo anfiteatro di Roma dopo il Colosseo, che esisteva già da oltre un secolo. Tuttavia, era riservato all'imperatore e alla sua corte. Se ne riconoscono ancora parecchi resti, ma soltanto per le esigenze della difesa, che li hanno preservati: infatti, era stato inglobato nelle Mura Aureliane. L'anfiteatro Castrense, presso Santa Croce in Gerusalemme, ha vissuto vicende quanto mai complesse, di distruzioni successive e progressive, che vale davvero la pena di raccontare. Nasce tra la fine del II e l'inizio del III secolo: quando sul luogo c'era il palazzo imperiale, il Sessoriano, una villa di tarda età severiana. Era quasi circolare: un'ellisse lunga 88 metri e larga 75 e mezzo, su tre piani.

Tra i pilastri, due ordini di arcate: il primo, tra semicolonne corinzie, con i capitelli in mattoni; nel secondo ordine, c'erano delle paraste, inglobate nelle pareti; sopra, invece, una muratura piena, soltanto con alcune finestre e mensole, almeno a vedere le incisioni e i disegni che ci sono rimasti. Sulle mensole in travertino, sembra, un velario: come anche al Colosseo, per far ombra durante le rappresentazioni. Le finestre dell'attico erano ripartite con lesene.

INGLOBATO
Dall'anfiteatro, partiva un grandioso corridoio coperto: lungo trecento metri e largo quasi quindici, che in parte ancora si riesce a leggere; giungeva fino alla grande sala, inclusa frattanto nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme. Forse, Eliogabalo vuole il tutto; ma non resta in funzione per lungo tempo: le Mura Aureliane, edificate tra il 270 e il 275, lo dimostrano. Infatti, lo tagliano a metà; e anzi, lo inseriscono nel proprio percorso. Non è l'unica volta in cui la possente cinta usa monumenti che già esistono. Accade, per citare qualche caso, anche alla Piramide Cestia, al Muro torto, a Porta Maggiore e ai Castra Praetoria.
Del resto, quella cerchia nacque in grande fretta, voluta da Aureliano, e di simili espedienti davvero necessitava. Comunque sia, una metà dell'anfiteatro vi è inserita, e le arcate al piano inferiore di quanto rimaneva, vengono murate; il piano terminale è invece fortificato, con una sommità merlata. Non solo: ma perché la difesa fosse più efficace, viene ribassato di circa due metri il livello esterno del terreno.

LE INCISIONI
L'interno dell'anfiteatro è oggi occupato da un altro «unicum» nella città: l'orto monastico cistercense, che è risorto nel 2004, con un progetto del grande esperto Paolo Pejrone, e dal 2007 munito di un cancello d'ingresso, opera di Jannis Kounellis, donata dai marchesi Sacchetti. Pare che i gradini della cavea fossero sorretti da ambulacri, con le volte a botte; scavi del Settecento hanno ritrovato resti degli ambienti sotterranei; altri, più recenti, ci hanno permesso di comprenderli meglio: una galleria centrale, ambienti con volte a crociera; altre due gallerie partono da quella principale, in forma semicircolare. Il terzo ordine si è conservato a lungo: nel Cinquecento, si vedeva ancora, e parecchi artisti lo hanno descritto nelle incisioni, a cominciare da Étienne Dupérac (1520 - 1607), a Roma per vent'anni dal 1559. Poi, le necessità della difesa hanno la meglio, ed il tutto è ridotto a livello del solo primo piano. Però, a via Nola, si vede ancora un'arcata del secondo livello.

IL PAPA DEMOLISCE

Ma non è ancora finita: Benedetto XIV Lambertini, ormai nel Settecento, fa demolire quanto restava, in particolare le ultime parti delle gradinate, per recuperare materiali da costruzione. Così, ora restano soltanto labili tracce di un monumento ormai sparito. Pare che nei sotterranei, dice un autore dell'Ottocento, si siano ritrovate ossa di parecchi animali: probabilmente, il luogo era usato anche per gli addestramenti militari. Vicino, era il Circo Variano (in onore di Eliogabalo: Varius ne era il primo nome), con l'imponente tempio del Sole, copia di quello di Palmira. Rodolfo Lanciani ne ricordava la sezione, disegnata da Andrea Palladio quando ancora si poteva. Oggi, ci resta il ricordo di un luogo che, per l'Urbe, era fondamentale.
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Il Messaggero