Roma, picco di influenza tra i bambini: assalto ai pronto soccorso

Roma, picco di influenza tra i bambini: assalto ai pronto soccorso
Altro che psicosi da coronavirus: i pronto soccorso italiani, in queste ore, fanno i conti con i casi reali di influenza e bronchiolite. «Siamo in pieno picco di casi di...

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Altro che psicosi da coronavirus: i pronto soccorso italiani, in queste ore, fanno i conti con i casi reali di influenza e bronchiolite. «Siamo in pieno picco di casi di influenza, e abbiamo ancora moltissimi pazienti con bronchioliti. Nel fine settimana abbiamo avuto 220 accessi al pronto soccorso, e di certo non tutti i piccoli pazienti richiedevano una visita urgente». Lo spiega Antonino Reale, responsabile di Pediatria dell'emergenza dell'ospedale Bambino Gesù di Roma, che già a gennaio aveva segnalato un boom di casi di bronchiolite. «La situazione per la bronchiolite non è ancora rientrata - dice Reale - e se il colpevole è spesso il virus respiratorio sinciziale, continuiamo però a trovare coinfezioni con i virus influenzali. Ad affollare il pronto soccorso sono adesso i casi di influenza, e questo anche se - sottolinea il medico - la stragrande maggioranza dei bimbi non dovrebbe essere portata in ospedale. Anche perché noi diamo priorità ai codici rossi e a quelli arancioni, e tutti gli altri bambini nelle lunghe attese rischiano di contrarre altri patogeni». 


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Cosa fare, allora? «Il mio suggerimento in caso di patologie febbrili è quello di rivolgersi prioritariamente ai pediatri di famiglia o alle case della salute. Dovrebbero andare al pronto soccorso - dice Reale - solo i neonati con meno di 3 mesi, i bimbi con difficoltà respiratorie o febbre alta da più di 5-6 giorni e i piccoli fragili, con altre patologie». Il pronto soccorso altrimenti non si rivelerà affatto il posto migliore dove attendere le cure. «Mi rendo conto che dopo un paio di giorni con la febbre i genitori si allarmano, ma affollare il pronto soccorso in queste settimane record per l' influenza può rivelarsi controproducente. Meglio contattare il pediatra e attendere le sue indicazioni», conclude.

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Il Messaggero