Ho chiesto ad uno in fila alla Posta da quant'è che aspetta, mi ha risposto "da un po' ", sventolando la bolletta della Sip. ...
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@Giada Morellino Basta prendere un numeretto, sedersi alla Posta per vedere all’opera quei mostri che siamo. Non c’è scampo, nemmeno se è un giorno qualsiasi d’agosto e l’ufficio è uno di quelli poco noti, all’Appio, in una piazzetta. Per cominciare c’è una signora claudicante e tremante, fatica a camminare e per uscire chiede il braccio a un giovane uomo. Lui infastidito, imbarazzato, gli fa cenno che tocca a lui (tra poco, chissà quando, sta aspettando, ancora attenderà). Vergogna. E’ solo l’inizio: stanco di aspettare qualcuno chiama la polizia. Forse ha ragione, ma l’effetto «lei non sa chi sono io» è latente. Dal canto loro direttrice e operatori rilanciano e così arrivano i carabinieri: «Il personale è ridotto, la gente pensa che siamo noi a scegliere le lettere, invece è il sistema elettronico che decide se chiamare la C o la A». Un discorso che non regge, «io sto in fila da 2 ore e mi stanno passando tutti avanti», protesta chi ha trascorso qui tutta la mattina. Tu ascolti, e pensi: «Ma c’è bisogno di scomodare le forze dell’ordine? Quando ti metti in fila per i saldi o per salire sulle montagne russe a Gardaland fai tante storie?». Sempre più indeciso, una banderuola, non sai da che parte stare, il colpo di grazia alle minime certezze arriva quando una dipendente, risponde ignorante a una signora d’una certa età: «Se non le sta bene se ne vada da un’altra parte» e a una straniera con un passeggino: «Alla posta non si portano i bambini». Come una pallina da ping pong, come tanti altri cristi rassegnati col numeretto in mano, ecco, hai capito chi sei: la maggioranza silenziosa. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero