Genzano, cittadinanza onoraria alle figlie del negoziante ebreo ucciso in un lager

La cerimonia a Genzano per il conferimento della cittadinanza onoraria alle sorelle Amati
Dora, Enrica e Ornella Amati sono nuove cittadine onorarie di Genzano di Roma. Sono le tre figlie di Giulio Amati, cittadino genzanese di origine ebraica deportato nel campo di...

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Dora, Enrica e Ornella Amati sono nuove cittadine onorarie di Genzano di Roma. Sono le tre figlie di Giulio Amati, cittadino genzanese di origine ebraica deportato nel campo di concentramento di Auschwitz e poi ucciso in quello di Lansdber nel 1944. La cittadinanza alle donne è stata simbolicamente conferita ieri dal sindaco Carlo Zoccolotti tramite i nipoti di Amati, Andrea Di Veroli e Alessia Salmoni, in una cerimonia che si è tenuta nei giardini intitolati dal 2016 proprio ad Amati. Dora, Enrica e Ornella, sempre presenti a Genzano per tenere viva la memoria della Shoah, quest’anno non sono venute in città a causa dell’avanzata età e del rischio dato dall’epidemia. La stessa onorificenza è stata deliberata dal Consiglio comunale per Liliana Segre. C’erano tutti gli amministratori insieme ad Aldo Pavia, presidente della sezione di Roma dell’Associazione Nazionale Ex Deportati (Aned), di cui Di Veroli è vice. Davanti a Carabinieri, Polizia di Stato, Polizia locale e Anpi, i giovani Giordano Attenni e Samuel Nocera, rappresentanti delle scuole “Vailati” e “Pertini”, hanno letto alcune lettere.


Ma chi era Amati? Aveva 31 anni quando venne preso dai nazifascisti il 1° febbraio 1944. Negoziante a Genzano, dopo le leggi razziali del ‘38 dovette trasferirsi a Roma con la famiglia. Scampò al rastrellamento del Ghetto del 16 ottobre 1943 perché era residente ai Castelli. «Nel febbraio successivo - racconta il nipote Di Veroli - fu tradito dalla persona cui aveva affidato la gestione del negozio di Genzano». Il falso amico lo consegnò ai nazifascisti che lo portarono a Roma nel carcere delle Ss in via Tasso. Quel giorno era con Dora, la figlia di 5 anni, e, per salvarla, fu convinto a dare tutto quello che aveva. Portò gli aguzzini dove teneva i risparmi. Ma quelli, avuto tutto, non mantennero la promessa di lasciare libera la figlia. Anzi, arrestarono il cognato, Angelo Sonnino. «Li dovevano portare via in macchina – racconta Andrea Di Veroli - mia madre era di troppo. Una delle donne del Ghetto, Graziella Mieli, la strappò ai fascisti e lo riportò a mia nonna».

 

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Il Messaggero