Gioielliere ucciso, la verità nel sito web: il killer lo avrebbe visitato più volte

Gioielliere ucciso, la verità nel sito web: il killer lo avrebbe visitato più volte
Una raffica di click su un “mouse” potrebbe incastrare il bandito che mercoledì pomeriggio ha rapinato e ucciso il gioielliere Giancarlo Nocchia nel quartiere Prati. I...

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Una raffica di click su un “mouse” potrebbe incastrare il bandito che mercoledì pomeriggio ha rapinato e ucciso il gioielliere Giancarlo Nocchia nel quartiere Prati. I carabinieri del Nucleo Investigativo, secondo indiscrezioni, starebbero scavando anche nel sito internet dell'orafo ammazzato in via dei Gracchi 155 perché alcuni accessi - recenti, insistiti, ripetuti - sembrano una traccia concreta da seguire. L'ipotesi è che l'assassino, nei giorni che hanno preceduto il colpo, sia andato più volte a vedere via web le fantasiose creazioni dell'artigiano (www.gioiellerianocchia.it) e che le informazioni gli siano servite per carpirne la fiducia, facendogli tirare fuori tutta la collezione, durante l'aggressione che ha scosso Roma.








GLI INDIZI

Gli elementi in mano agli investigatori sembrano molti. Una telecamera ha ripreso l'uomo che è entrato nel laboratorio di Nocchia. I carabinieri quindi hanno un identikit e forse molto di più, anche perché il rapinatore, durante la fuga, è stato ripreso da altre apparecchiature di controllo. Gli uomini dell'Arma, secondo alcune indiscrezioni, avrebbero addirittura identificato il rapinatore e il totale silenzio attorno alle indagini sarebbe il preludio di una imminente cattura. Forse non a caso il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, rispondendo ieri a una domanda sulla caccia al responsabile della rapina, si è in qualche modo “sbilanciato”: «Le forze dell'ordine sono al lavoro e siamo convinti che lo prenderemo».



GLI ULTIMI ISTANTI

La telecamera del laboratorio ha filmato gli ultimi istanti del povero Nocchia. Sono le quattro di mercoledì pomeriggio. Le immagini mostrano un uomo che entra nell'oreficeria con gli occhiali da sole, con indosso quella che adesso sembra una parrucca scura (per ora non trovata). L'artigiano e lo sconosciuto parlano per qualche minuto, sei o sette. Può darsi che i due si conoscano già da qualche giorno e che il falso cliente sia già stato nella gioielleria per vedere una parte della collezione: ciondoli, spille e bracciali di impressionante fantasia. La vittima sulle prime asseconda il falso cliente. Poi ne capisce le intenzioni, si ribella, inizia una colluttazione. Oggi l'autopsia al Policlinico Gemelli: Nocchia, settant'anni, potrebbe essere morto per un colpo alla tempia ma non è esclusa l'ipotesi di un malore innescato dallo choc, dalla paura e dal tentativo di ribellarsi.



LE IMPRONTE

I carabinieri del Ris ieri sono tornati nel negozio di via dei Gracchi 155 dopo un primo sopralluogo eseguito mercoledì sera. Il rapinatore-assassino, gli investigatori ne sono certi, non può non aver lasciato tracce: le impronte digitali, il Dna, forse capelli e gocce di saliva sui vestiti dell'orafo con cui ha lottato prima di ridurlo all'impotenza. Gli investigatori non escludono che il malvivente potesse avere precedenti e che in passato sia stato in carcere: le impronte, se fossero già in uno schedario, costituirebbero una prova schiacciante e avrebbero già messo in mano agli inquirenti nome e cognome del ricercato.



IL GIALLO DELLE CHIAVI


Ma le indagini, come sempre in questi casi, sono a tutto campo. Gli uomini del Nucleo Investigativo anche ieri hanno sentito amici, conoscenti e familiari della vittima per ricostruirne le relazioni. Giancarlo Nocchia, detto “Il Maestro”, era molto conosciuto nell'ambiente. I carabinieri stanno cercando di capire se l'orafo avesse parlato a qualcuno di un appuntamento o di un incontro con un cliente, il “cliente” che poi si è trasformato in assassino. C'è un elemento che ha suscitato non poca sorpresa: le chiavi del negozio non sarebbero state trovate sul corpo nella vittima e neppure nei cassetti del laboratorio. Il rapinatore, nella fretta di arraffare tutto, potrebbe averle portate via e buttate chissà dove. Un mistero, ovviamente. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero