“Quando Roma aveva le mura per difendere l’Europa cristiana dal jihad" @ayeronday11 Ora...
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aveva le mura
per difendere l’Europa cristiana
dal jihad"
@ayeronday11
Ora niente mura, e niente di niente: Roma è una rovina tra le rovine. Ed è un po’ questa, tra decadenza e baldoria, l’Urbe nel romanzo di Federica Fantozzi: «Il logista» (Marsilio). Un thriller e insieme, a suo modo, un libro di denuncia. Il tema è il terrorismo jihadista ma sullo sfondo c’è il degrado (non affrontato in chiave politica) della città: gabbiani voraci, buche in cui lo Scarabeo di Amalia – la giornalista d’inchiesta che indaga sulla trama terrorista contro Roma – rischia di affondare, discariche abusive in periferia ma anche nella no man’s land di Tor di Quinto, il Tevere basso e limaccioso con i pesci che si possono pescare ma non mangiare, i cinghiali a spasso sulla Trionfale, i motorini che invadono i marciapiedi. Ma è Roma questa? Sì. E Roma Nord, il set del «Logista», è un disastro nel disastro.
Qui la città scoppia, in altri recenti romanzi su Roma la Capitale affoga nel suo fiume o piange sul proprio sangue. Il filone apocalittico sull’Urbe ormai è diventato un genere letterario vero e proprio. E non è difficile capire il perché. Nel caso del romanzo della Fantozzi, c’è anche la descrizione della gentrification che riguarda pezzi di città. Quartieri in cui ferramenta e mercerie cedono il posto a ristoranti di sushi, disco-bar e negozi di candele aromatiche. Dove artigiani e contadini del mercato incontrano la movida alcolica giovanile. E l’identità di tutto e di tutti è svanita nel nulla. Al punto che il jihad, per risparmiare tempo e fatica, potrebbe pure infischiarsene di Roma. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero