«Uccidere una persona come dite, affogandola di notte nel lago? Non l'avrei mai fatto, con nessuno. Figuriamoci con Federica, le volevo bene. Non l'avrei mai uccisa,...
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«NON DICO ALTRO»
Di Muro, che finora non ha mai voluto chiarire i dubbi su quella notte piovosa in cui avrebbe fatto scendere dall'auto la fidanzata dopo una lite lasciandola per strada sola, ha parlato solo per spiegare l'amore che lo legava alla ragazza, evitando ancora una volta le domande. Dopo le dichiarazioni spontanee, infatti, si è avvalso formalmente della facoltà di non rispondere all'interrogatorio. «Federica meritava solo il meglio dalla vita», si è limitato spiegare. I suoi legali, gli avvocati Cesare Gai e Massimiliano Sciortino, nel frattempo, hanno presentato appello al Tribunale del Riesame chiedendo la revoca della misura cautelare. Dopo l'interrogatorio, Mauro Di Muro, è stato riportato a casa dove è relegato agli arresti domiciliari.
Ci sono voluti due anni, passati tra perizie, esami e disperati appelli dei genitori di Federica, per inquadrare in una luce diversa il giallo del lago. Secondo il pm Eugenio Rubolino, Marco Di Muro avrebbe ucciso la fidanzata, trattenendola sotto l'acqua, al culmine di una lite, forse per motivi di gelosia. Federica, dunque, non sarebbe morta per un malore, come emerso nella prima perizia che rivelò una miocardite, ma per annegamento. Di Muro, oggi venticinquenne, era stato subito indagato. Sul suo conto una catena di sospetti nati anche dall'ostinato silenzio del giovane e dalla incogruenze nel suo racconto. Come l'orario in cui avrebbe lasciato Federica (corretto solo l'indomani), le scarpe bianche sparite (ne ha consegnate un paio nere) e il tentativo di far lavare subito alla madre i pantaloni bianchi che indossava quella notte. L'autopsia ha rilevato in Federica tracce di alghe, le stesse rilevate su quei jeans. Secondo il giudice delle indagini preliminari, l'arresto di Di Muro era necessario per «l'indole violenta» e il «rischio di fuga». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero