Roma, tre evasi da Rebibbia: «Avevano dei complici fra gli agenti di guardia»

Roma, tre evasi da Rebibbia: «Avevano dei complici fra gli agenti di guardia»
Evasioni da film, detenuti che segano le sbarre delle celle e si calano dalle finestre annodando le lenzuola. Ha dell'assurdo, ma è un copione già visto altre...

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Evasioni da film, detenuti che segano le sbarre delle celle e si calano dalle finestre annodando le lenzuola. Ha dell'assurdo, ma è un copione già visto altre volte nella stessa prigione romana nell'arco di un anno. Per questo motivo, al vaglio della pm Nadia Palstina, che indaga sulla fuga di tre reclusi d'alto profilo dal carcere di Rebibbia, è finito anche l'operato degli agenti di polizia penitenziaria. Per il momento la priorità dei magistrati è catturare i latitanti, ma gli inquirenti hanno intenzione di fare presto accertamenti anche sui sistemi di sicurezza interni alla casa circondariale. I tre, di nazionalità albanese, si sarebbero dileguati alle 3,15 di mercoledì notte, ma l'allarme è scattato solo dopo le 6 di giovedì mattina. Gli arrestati, collocati nel braccio G9, avevano realizzato delle finte sagome umane con bottiglie e cartoni. Le avevano nascoste sotto le coperte delle loro brande, ingannando in questo modo le sentinelle, che le hanno scambiate per persone addormentate. Sono pericolosi, soprattutto uno: Basho Tesi, 35 anni. Stava scontando l'ergastolo per un duplice omicidio. Ilir Pere e Mikel Hasanbelli, invece, erano in prigione per traffico di droga e sfruttamento della prostituzione. Chi indaga vuole capire prima di tutto come mai nessuno si sia accorto dell'evasione e come sia possibile che gli stranieri, in piena notte, siano riusciti a segare le sbarre della finestra della camera, calarsi di sotto utilizzando delle lenzuola annodate e scavalcare la recinzione esterna del carcere. Non è tutto. Un altro mistero da sciogliere riguarda le modalità di organizzazione della fuga.


I CONTROLLI

In teoria, nella casa circondariale dovrebbero esserci continui controlli per evitare che i reclusi nascondano oggetti non consentiti. In questo caso i tre sarebbero riusciti, indisturbati, a mettere da parte un vero e proprio arsenale da evasione e ad architettare un piano di fuga scattato al momento più opportuno: la notte del terremoto, quando a Rebibbia, in pieno caos, sono stati trasferiti i detenuti del carcere di Camerino. Il sospetto di chi indaga è che ci sia una macroscopica falla nei sistemi di sicurezza della prigione. La speranza è che non abbiano avuto appoggi dall'interno. Per sciogliere ogni dubbio, la pm Plastina ha deciso di confrontare l'ultima evasione con altre fughe clamorose. Come quella dello scorso 15 febbraio. I protagonisti erano due romeni di 28 e 33 anni. Le modalità sono identiche: sbarre segate e lenzuola annodate. La loro latitanza era durata poco più di tre giorni. Nel 2014, invece, a darsi alla macchia erano stati due romani. Erano scappati dal terzo piano dello stabile, sempre calandosi da una finestra. La Procura vuole controllare se nei periodi degli incidenti il personale in servizio fosse lo stesso. Nel frattempo, degli evasi albanesi non c'è traccia. Una pista porta all'estero. La compagna di uno dei fuggiaschi abita infatti in Germania. Chi indaga vuole anche capire se i tre abbiano avuto dei complici. Per dileguarsi così in fretta potrebbero essere stati aiutati da amici che li attendevano in macchina fuori dalla prigione e che, ora, li potrebbero ospitarli. In questi giorni sono arrivate agli inquirenti decine di segnalazioni provenienti da tutta l'Italia.

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Il Messaggero