L'Eur cerca di dimenticare Beirut. «Come altro potevamo chiamare quegli scheletri di cemento abbandonati? Dall'alto sembrava un angolo di città...
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Ma la rinascita, per tanti versi, è ancora una scommessa. Prendiamo via Nairobi, dall'ospedale Sant'Eugenio e viale Africa, un altro simbolo di paralisi. «È bloccata per metà da quasi un paio di anni», Jocelyne Amato è il presidente del comitato di quartiere dell'Eur. «Tutto fermo e chissà quando la riapriranno. Uno scandalo». O i segnali di declino di viale Europa, «lì abbiamo assistito a un crollo verticale del decoro, con cumuli di rifiuti ritirati con una scarsa frequenza. Solo ultimamente la situazione è appena migliorata», Roberto Ciliberti è il responsabile del gruppo Eur di Retake, le domeniche in strada con gli altri volontari a pulire marciapiedi e rimuovere tag.
LE POTATURE
«Vedranno ancora i miei nipoti qualche pino in viale Europa?», Corrado Bortalozzi abità lì. «In 200 metri ne hanno tagliati 9». Sul sito del comitato di quartiere c'è l'elenco degli alberi che non ci sono più: via della Tecnica, 89 su 132; viale dei Primati Sportivi, 122 su 362, viale Africa, 19 su 59, e così via. «Una necessità», spiega Ciliberti. «È stato fatto un censimento e quelli più trascurati andavano abbattuti». I lecci di viale dell'Astronomia, un pericolo. Ci sono nidi di cornacchie che attaccano: quindici persone finite in ospedale. Chi esce con l'ombrello, chi si copre la testa per difendersi dagli assalti tra aprile e maggio. «Se gli alberi non vengono potati, le cornacchie saranno sempre di più».
In via Tupini, in piazza Gandhi e in tante altre strade il racket che colpisce le schiave del sesso. Una battaglia mai vinta. «La nostra associazione è nata nel 2012 proprio per combattere questa emergenza», ricorda Lampariello. Adesso va meglio, «ma durante il giorno, su via della Tecnica e in altre strade, zero controlli», spiega la signora Amato.
Intorno al nuovo palazzo dei congressi, «ancora troppe recinzioni, dimezzano le strade intorno», si lamenta Bortalozzi. E la differenziata porta a porta che non va, «rubano i contenitori». Ma si guarda avanti, «contiamo su nuove edizioni della Formula E - si augura Lampariello - ma vorremmo, come abbiamo già chiesto, marciapiedi rifatti e potatura degli alberi pericolosi ». Il sogno è Eur 3mila, «un quartiere futurista, senza più auto parcheggiate in strada».
TORRINO
Che fine ha fatto via Bonn? Se lo chiedono tutti, al Torrino. Scomparsa, ormai da due anni. Era maggio del 2017 quando i vigili del fuoco intervennero per verificare le condizioni di quella strada attraversata da crepe. Va chiusa, decisero i pompieri, è pericolosa. Il fatto è che a distanza di tutto questo tempo è rimasta sbarrata. Una strada che non c’è più. «Abbiamo fatto di tutto per sollecitare gli interventi del Municipio, siamo riusciti a far convocare una commissione capitolina su questa questione», Pietro Ragucci è il presidente del comitato Torrino nord. Niente, ancora tutto fermo. «Da quanto ci hanno comunicato fino al 2020 i lavori non cominceranno. I residenti di quella zona sono avvelenati». Via Bonn è la strada di accesso al quartiere che si chiama Sic. «E noi siamo prigionieri», protesta l’ingegnere Pietro Bontempo che abita lì. «C’è un secondo tratto della via che è percorribile, ma ci sono pini pericolanti, tutti curvi. Basta una giornata di pioggia e vento e sappiamo cosa succede. Se quegli alberi vengono giù bloccando la strada restiamo praticamente quasi isolati». E come torniamo a casa, si chiede la gente da queste parti, «ci toccherà noleggiare un elicottero». Tante proteste non sono servite a niente. Sono state fatte delle indagini per capire la natura del terreno sottostante e spiegare la ragione della crepa profonda che attraversa via Bonn. La strada in pratica è slittata verso valle. «Dal crono-programma che ci è stato comunicato dall’assessore ai Lavori pubblici del IX Municipio, a fine agosto sarà stilato il progetto definitivo. Poi si dovranno trovare i soldi, quindi se andrà tutto bene dal 2020 si muoverà qualcosa». Non solo via Bonn. Al Torrino vorrebbero riavere anche il parco di via Caterina Troiani, «è chiuso da tempo, doveva essere ristrutturato, ma anche qui è tutto fermo».
FONTE LAURENTINA
Il parco abbandonato di via Bruno Pontecorvo, a Fonte Laurentina.
MOSTACCIANO
«Sono caduta in uno dei tanti dossi di via Sergio Forti. Contusioni alle ginocchia e alle spalle. Le radici dei pini mettono in pericolo la nostra incolumità». La disavventura di Daniela Gaudenzi, residente a Mostacciano. È successo qualche mese fa ma potrebbe riaccadere a chiunque, ogni momento, nelle vie che sono trappole d’asfalto. «Una vergogna per chi vive qui e paga le tasse». Basta un attimo di distrazione e si finisce a terra. Le strade della zona deformate dagli alberi, una fila di dossi senza fine. Accade anche in via padre Angelo Paoli, in via Bonetti, in via Tandura e in via Perego. «Un disastro, tutte vie impraticabili», Cristina Cicione con il comitato di quartiere che presiede ha provato in tutti i modi ad attirare l’attenzione del Municipio denunciando i rischi che corrono i cittadini. «Si va a trenta all’ora, come ha stabilito il Comune, ma anche così piano si distruggono marmitte e coppe dell’olio delle auto. Chi va a piedi può cadere ad ogni passo. Questi pini sono ormai pericolosi, vanno rimossi e sostituiti. Le radici sono cresciute a dismisura, sui marciapiedi non si può camminare». Anche a Mostacciano è sparita una strada, via De Vitis, «chiusa da tre anni dalle barriere di cemento. Tanti incontri e manifestazioni, ma niente si muove». Il IX Municipio ha il record di richieste di risarcimenti al Comune per buche e strade dissestate da radici e dossi. La manutenzione stradale è un’emergenza anche a Fonte Meravigliosa. «In via Casale Zola passano mille auto all’ora ed è distrutta», denuncia Carla Canale coordinatrice dei comitati di quartiere del IX municipio e di quello di zona. «Qualcuno prima o poi si farà male. Mettono le toppe, va bene per qualche giorno e poi i crateri si riaprono. Sono strade in cui passano auto, bus e pullman turistici. Ma non vengono riparate». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero