Il manto stradale era sconnesso, lo schianto inevitabile. A due anni dall’incidente la procura ricompone il puzzle delle indagini sulla morte di Elena Aubry e iscrive nel...
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Elena Aubry, le ceneri rubate da un necrofilo: «Cercavo la fidanzata dei miei sogni»
Lavori sulla Via del Mare ma non dove morì Elena «Ci sono i sigilli del pm»
L’ULTIMA TESTIMONE
«Quella è una strada che uccide - ha dichiarato Graziella Viviano, la mamma di Elena - Non sono meravigliata se emerge la responsabilità del Comune, di chi gestisce quella strada. Le indagini sono state attente e puntuali». «Non chiedo vendetta, ma giustizia - ha aggiunto - Mi auguro soprattutto che dal processo venga fuori che i Comuni debbano offrire i servizi minimi, a partire da strade non a rischio morte. E a Roma le strade sono in condizioni raccapriccianti. Intanto mi consola riavere le ceneri di mia figlia». La svolta è arrivata nei mesi scorsi quando l’ipotesi che la motociclista fosse stata uccisa dal manto sconnesso è diventata via via più concreta. Rintracciato l’ultimo testimone, la procura ha ottenuto anche la convergenza sul probabile punto che ha scatenato l’uscita di strada della Hornet di Elena. Identificata dopo mesi di ricerche l’infermiera che ha assistito all’incidente e si è fermata per prestare aiuto, il pm Condemi aveva disposto un nuovo sopralluogo nel tratto dello schianto, all’altezza del Cineland di Ostia, tra la soccorritrice, altri due testimoni e l’ingegnere delegato alla ricostruzione della dinamica. Ed è risultata una discreta convergenza tra le conclusioni dei tre teste e del consulente della procura. Conclusioni a stretto giro poi depositate a palazzo di giustizia.
Il confronto aveva anche escluso che qualcuno, a bordo di un mezzo, potesse aver fatto deviare o addirittura avesse colpito la moto. La procura per rintracciare l’infermiera, considerata super testimone, aveva disposto l’esame dei tabulati telefonici degli automobilisti Gravitati nell’area al momento dell’incidente. Un’indagine complessa considerato che la soccorritrice non aveva risposto né agli appelli dei magistrati, né della madre di Aubry. «Non sapevo nulla, volevo solo dimenticare», aveva spiegato poi. Per la prima volta poi la dinamica dell’incidente è stata realizzata in 3D. Un metodo d’avanguardia che appunto ha portato alla conclusione che l’ultimo tratto di strada percorso dalla motociclista fosse caratterizzato da una serie di avvallamenti. E che l’asfalto fosse ancor più dissestato di quanto non si percepisse ad occhio nudo.
Il Messaggero