Sacrofano, minacce e spari per la droga: il “bulgaro” puniva boss della zona, 33 arresti

Carabinieri in azione
Gli ordini di contattare i grossisti, rifornire le piazze di spaccio, “punire” i cattivi pagatori, partivano dal “quartier generale” a Sacrofano, una...

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Gli ordini di contattare i grossisti, rifornire le piazze di spaccio, “punire” i cattivi pagatori, partivano dal “quartier generale” a Sacrofano, una grande villa in via Monte Caminetto una strada di campagna a pochi chilometri dall’abitazione dell’ex Nar Massimo Carminati. I 33 arresti eseguiti ieri dagli uomini del Comando provinciale dei Carabinieri di Roma che hanno smantellato un cartello della droga vicino alla ‘ndrangheta, hanno svelato le dinamiche del traffico di stupefacenti a nord della Capitale. In particolare sui comuni che affacciano sulla Flaminia è stata smantellata una rete criminale ben organizzata. Il boss della ‘ndrangheta Pasquale Vitalone, organico alla ‘ndrina Alvaro di Sinopoli, si era radicato nel territorio a nord di Roma con moglie, cinque figli, fratello, nipoti e cugini stretti. 


In paese c’è chi non vuole neppure nominare quella gente: «Sacrofano non è solo criminalità, lasciateci stare». La paura è tanta perché la presenza “dei calabresi” ha seminato il terrore, fino a quando, qualche mese fa, anche i cugini e i parenti del capo non sono tornati nella loro terra. Tutto è capitolato dopo l’arresto del boss qualche anno fa accusato di associazione di stampo mafioso. 

Vitalone, in particolare dal 2017 al 2018, era riuscito a piazzare cocaina, marijuana e hashish a Sacrofano, Capena, Morlupo e Cerveteri. A Morlupo c’era un suo fedelissimo, un uomo di origini bulgare, classe ’86, cresciuto a Roma, il più temuto dai clienti che non pagavano la “roba” e i fornitori ritardatari. Per loro erano riservate botte, auto incendiate e colpi d’arma da fuoco sparati contro le abitazioni:«Guai a fare il furbo con noi, spargi la voce. Siamo cattivi». Le minacce indirizzate ai familiari erano quelle che spaventavano di più le vittime: «Attento a tua moglie e ai tuoi figli». Al “bulgaro” che girava le piazze dello spaccio del territorio era stata affidata dal boss Vitalone la missione di comprare una partita di 12 chili di cocaina al prezzo di 312mila euro da un gruppo di colombiani. Una trattativa che aveva fatto contento il capo che per riciclare tutti i soldi dello spaccio voleva anche comprare una palestra a Riano. Visto che i tre soci non volevano cedere le quote, il bulgaro prima aveva incendiato l’auto del primo socio, poi ha esploso un colpo d’arma da fuoco contro l’auto del secondo e, successivamente, ha incendiato il cancello dell’abitazione e l’auto del terzo Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero