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Sognava di risolvere un piccolo difetto estetico e, invece, al termine di un intervento durato più di 7 ore a Roma, una trentenne si era ritrovata con il corpo deturpato, incapace di alzare un braccio e talmente debole da non riuscire a reggersi in piedi. Era stata operata in una clinica non idonea e i suoi livelli di emoglobina erano così bassi da farle rischiare la vita.
Non è tutto: le protesi inserite per ingrandire il seno erano visibilmente asimmetriche e le hanno provocato una grave infezione e altri problemi fisici. Nonostante subito dopo l’operazione le condizioni della paziente fossero gravi, inoltre, il dottore aveva deciso non solo di dimetterla, ma anche di portarla a casa mentre era ancora sotto l’effetto dell’anestesia. Tutti comportamenti di cui, ora, il camice bianco deve rispondere a processo. Il dottor Carlo B. - ancora in servizio - è sul banco degli imputati con l’accusa di lesioni gravi e aggravate.
L’INTERVENTO
Avrebbe operato la donna in un Poliambulatorio in via Firenze, a due passi da via Nazionale, che non aveva «i requisiti per interventi di questa tipologia», sottolinea la Procura.
Nella denuncia la vittima racconta di essersi rivota al chirurgo il 20 novembre 2017: «Disse che non servivano visite o esami specifici, ci accordammo per l’intervento». A dire del medico, il tutto sarebbe dovuto durare 40 minuti. «Ho pagato 3.500 euro, mai fatturati - racconta la paziente - sono entrata nella sala alle 17,30 circa e sono rimasta 7 ore». Ad accompagnare la trentenne, il marito e la madre. Sono loro a raccontare nella denuncia l’attesa: «Dopo circa due ore il dottore esce, ha il camice abnormemente sporco di sangue. Comunica le complicanze, pronunciando le seguenti parole: Opero da 15 anni e non era mai successo durante un intervento, ho per sbaglio reciso due muscoli ed è sopraggiunta un’emorragia. Ha perso un po’ di sangue, ma è tutto sotto controllo». Verso le 21,30, si legge ancora nella denuncia, «la dottoressa presente durante l’intervento esce frettolosamente dalla sala operatoria, coprendosi il volto».
A mezzanotte i familiari della vittima «fanno irruzione nella sala operatoria. Io mi trovavo in stato di incoscienza e l’infermiera continuava ogni 5 minuti a somministrarmi iniezioni. L’anestesista cercava di opporsi». All’una di notte, «dato che non avevo ancora ripreso conoscenza, il dottore decide che potevo tornare a casa in stato di incoscienza, che mi avrebbero portato, con il suo aiuto, letteralmente in braccio».
Per più di una settimana, la paziente era stata male, non riusciva nemmeno a reggersi in piedi, mentre il medico «inventava scuse» per non andarla a visitare.
Il 12 dicembre, la corsa la pronto soccorso: «Il valore dell’emoglobina era a 7, quando il valore normale deve essere 12,50. I medici ipotizzarono che, recidendo due muscoli, mi avesse fatto perdere circa un litro di sangue», racconta ancora la donna. Ad aggravare la situazione, un edema e un’infezione severa, che rendeva necessario un nuovo intervento, effettuato dopo diverse trasfusioni.
Le complicanze sono state pesanti da affrontare: «A causa della lesione ai muscoli non riuscivo più ad alzare totalmente il braccio destro, ancora oggi ho difficoltà a muoverlo e non ho recuperato la motilità normale. L’operazione non ha minimamente sortito l’effetto sperato: la protesi sinistra è asimmetrica rispetto all’altra, quindi è servito un ulteriore intervento». Non è finita: nel febbraio 2018, alla donna viene diagnosticata anche una tromboflebite.
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