In pratica, Facebook ha riportato in carcere Doina Matei @ldigregorio75 Un tempo c’erano gli arresti...
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In pratica, Facebook
ha riportato
in carcere Doina Matei
@ldigregorio75
Un tempo c’erano gli arresti domiciliari, l’obbligo di non lasciare una città, l’obbligo di firma. Oggi anche la vita virtuale, quella su Facebook, diviene oggetto delle limitazioni alla libertà personale che possono essere decise da un giudice. Si tratta di qualcosa di differente dalla semplice proibizione a non avere contatti con l’esterno o a non parlare al telefono. Il caso è quello di Doina Matei e, attenzione, qui non si sta riflettendo se sia giusto o meno che sia uscita di prigione la ragazza romena che fu condannata a sedici anni perché nel 2007 causò la morte di Vanessa Russo, colpendola con la punta di un ombrello nella stazione metro di Termini. Il tema è un altro. Un mese fa Doina Matei, in semilibertà, tornò sulle prime pagine dei giornali perché pubblicò le sue foto in spiaggia su Facebook. Avvenne qualcosa di strano: il problema non era tanto, o solo, il fatto che fosse andata in spiaggia ma che avesse pubblicato quelle foto su Facebook, come se condividere un’immagine di felicità nei social rappresentasse la partecipazione a una ”vita aumentata” tale da causare scandalo. Il giudice sospese il regime di semilibertà. Ultimo capitolo, l’altro giorno: il tribunale di sorveglianza di Venezia ha deciso che Doina Matei torni in semilibertà, ma con «un programma di trattamento che impedisca, in primo luogo, l'accesso a tutti i social network». Comunque la si pensi, la second life di Facebook è, a tutti gli effetti, una dimensione della nostra esistenza importante quasi quanto quella reale.
mauro.evangelisti@ilmessaggero.it
twitter: @mauroev Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero