Neanche un sms. «Luigi», dicono nell'entourage di Di Maio, ieri è stato impegnato anima e corpo nella manifestazione contro il Rosatellum davanti...
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Anche questo elemento racconta la riscossa degli ortodossi. «Nulla di nuovo, Di Maio ha solo confermato un nostro principio. Guardate, non c'è molto da interpretare, da noi si prende il codice etico e si applica quello che c'è scritto nero su bianco, è facile. È previsto il ritiro del simbolo in caso di condanna», dice Roberto Fico che ieri non solo è tornato sul palco dei big insieme a Luigi Di Maio ma i due si sono esibiti a favor di telecamere in un tandem affiatato possibile grazie alla combinazione, disastrosa per il M5S, della legge elettorale.
Servivano le parole di Fico per corroborare le dichiarazioni affilate di Di Maio? Sì, e comunque «se lo dice anche Fico...» esulta un vecchio nemico di Raggi. Di fatto, le parole pronunciate da Di Maio, tolgono il velo sull'isolamento della sindaca nel Movimento. L'asse con il leader appena incoronato dalle primarie online si è incrinato da tempo. Nessuno strappo frontale, ma nel M5S c'è ormai la convinzione che il caso Roma abbia un peso sulla percezione dei Cinquestelle a livello nazionale. Ecco perché Di Maio tiene un profilo alto e, in qualche modo, tenta di smarcarsi dalle vicende amministrative della Città eterna. Troppo faticoso rendere conto sempre e dovunque delle vicende romane.
IL DOPPIO MANDATO
Per capire il grado di collaborazione e cameratismo nei Cinque Stelle l'esempio perfetto è il binomio Luigi Di Maio e Giancarlo Cancelleri. Dove c'è uno, c'è l'altro, quando il primo lancia l'assist, il secondo lo coglie al volo e lo trasforma in un dogma. Niente di tutto ciò è successo tra il vicepresidente della Camera e la sindaca. Raggi era una intransigente di prima categoria, solo fino a pochi mesi fa, prima che scoppiasse il caso Marra era lei stessa a pretendere dimissioni se condannata o «se i cittadini me lo chiederanno» (il vademecum da lei firmato in campagna elettorale prevede l'abbandono della carica in caso di condanna anche di primo grado). Doveva essere più prudente Raggi. Prudente per necessità è stato Di Maio, invece, quando le varie tegole giudiziarie hanno cominciato a cadere sul Campidoglio.
Ora, anche se ufficialmente la linea, in caso di processo, è «Virginia verrà assolta, l'accusa di falso cadrà come quella di abuso d'ufficio», pure in Campidoglio iniziano a interrogarsi su una possibile exit strategy. Non tanto nello staff della sindaca, ma nella pattuglia dei 29 consiglieri pentastellati. Almeno una decina sarebbero iscritti alla falange dei malpancisti. Minoranza nel gruppo M5S, ma possibile maggioranza, con l'opposizione, per chiedere le dimissioni di Raggi in caso di condanna. In questo scenario a cui va detto, per ora, nessuno tra i grillini vuole dare troppa considerazione in attesa dei risvolti giudiziari, cominciano a trapelare però alcuni ragionamenti che partono dall'aula di Palazzo Senatorio e trovano una sponda in alcuni parlamentari Cinquestelle di Camera e Senato.
Il tema è quello del limite dei due mandati, altro paletto grillino, messo recentemente in discussione dal sindaco di Pomezia, Fabio Fucci. Secondo diversi esponenti pentastellati, sia romani che nazionali, il tetto non andrebbe depennato completamente, ma dovrebbe essere in qualche modo «dettagliato». Per esempio come considerare la consiliatura di Ignazio Marino, durata solo due anni e mezzo anziché cinque? Se anche l'esperienza Raggi dovesse finire con largo anticipo, si tratterebbe, di due «mezzi mandati», che molti grillini, in vista di una ricandidatura, vorrebbero considerare come uno. Potrebbe essere questa, alla fine, l'extrema ratio per staccare la spina alla prima giunta M5S di Roma, solo se le cose dovessero precipitare. «Ma Virginia verrà assolta - ripetono come un mantra a Palazzo Senatorio - l'accusa di falso cadrà come quella di abuso d'ufficio». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero