Non c'è stata solo la violenza nella notte tra il 17 e il 18 ottobre, quando Desirée Mariottini, sedicenne di Cisterna di Latina, è morta dopo 24 ore di...
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Nel frattempo, si allungano i tempi per gli esiti dell'esame del Dna effettuato sul corpo e sugli indumenti della ragazzina e degli indagati: il perito ha chiesto una proroga e ieri la Scientifica è tornata nello stabile abbandonato di via dei Lucani, a San Lorenzo, dove Desirée è morta, per cercare nuove tracce genetiche.
«Desirée era vergine quando è stata violentata», spunta il dettaglio sull'autopsia
L'OMICIDIO
Per gli inquirenti, i quattro indagati avrebbero stordito la sedicenne con un cocktail di droghe e farmaci, avrebbero abusato di lei a turno e, poi, la avrebbero lasciata morire, impedendo alle altre persone presenti in via dei Lucani di chiamare i soccorsi, quando la vittima aveva perso conoscenza. Da qui, oltre all'accusa di stupro di gruppo, quella omicidio. Una ricostruzione riconosciuta dal Tribunale del Riesame solo per due componenti del branco: Salia e Gara.
Nelle motivazioni con cui confermano la tesi della Procura, i giudici scrivono che Salia è cinico e con un personalità caratterizzata da «totale inconsistenza morale». Ha assunto un atteggiamento di «inammissibile inerzia» e di cattiveria, prima stuprando una ragazzina e poi impedendo i soccorsi che avrebbero potuto salvarle la vita. Non è tutto: l'indagato, fuggito a Napoli subito dopo il delitto, «ha dato dimostrazione di non avere alcun interesse ad emergere dalla situazione di emarginazione sociale e umana in cui vive e nella quale, al contrario, sembra trovarsi perfettamente a proprio agio, sfruttando le dipendenze di soggetti più fragili».
Per il collegio, «non può dubitarsi del fatto che Salia e Gara abbiano violentato sessualmente la vittima» nella notte tra il 17 e il 18 ottobre. La ragazzina, in crisi d'astinenza, in quel momento non era infatti «in grado di esprimere liberalmente la propria volontà». Per i giudici, gli indagati hanno avuto modo di constatare «le condizioni nelle quali la povera ragazza si trovava»: priva di conoscenza, con la bava alla bocca, incapace di parlare. Salia e Gara erano «in grado di rendersi conto che era necessario un urgente intervento che valesse a salvarle la vita». Invece di intervenire, il primo avrebbe ostacolato i soccorsi, impedendo agli altri presenti di chiamare l'ambulanza. Una frase, per i giudici, è emblematica della sua spregiudicatezza: «Meglio lei morta che noi in galera», avrebbe detto secondo i testimoni. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero