«Io e mia figlia disabile, contagiati e separati: siamo tornati insieme in quarantena»

«Sa che non possiamo sfiorare nemmeno l'esterno delle porte per rimanere isolati bene?». La curiosità, forse la consapevolezza della portata storica del...

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«Sa che non possiamo sfiorare nemmeno l'esterno delle porte per rimanere isolati bene?». La curiosità, forse la consapevolezza della portata storica del momento, fa parlare Francesco Saverio Papagno, 75 anni, ingegnere romano abituato a immaginare le cose prima di vederle plasmate nella realtà, quasi con meraviglia.

È come se vivesse su un altro pianeta, lui che ricoverato prima al Gemelli poi alla Columbus per colpa del coronavirus, ora si muove in una suite del Marriot hotel dove sta trascorrendo la quarantena post ospedale. E in camera con lui, da domenica, c'è anche Federica, la figlia di 42 anni disabile, 18 interventi chirurgici tutti al Gemelli e una vita senza l'uso delle gambe e del braccio destro. Anche lei è risultata positiva al Covid.

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VIA DA CASA
E insieme adesso aspettano l'esito del secondo tampone. Ma a lasciare l'appartamento in via Santa Croce in Gerusalemme è stato prima papà Francesco. «Stavo male, febbre alta», ricorda lui. Quando se ne è andato in ambulanza non ha pianto talmente era stordito. Federica piangeva nelle videochiamate che faceva a papà da casa dove è rimasta isolata in una stanza per giorni e giorni: «Quando torni?». Poi si è scoperto in un secondo momento che era positiva ma con pochi sintomi.

E allora la domenica delle Palme, grazie a Christian Barillaro, responsabile della Centrale di Continuità Assistenziale del Policlinico Gemelli, padre e figlia si sono ricongiunti. «Ci siamo rivisti dopo più di due settimane, che commozione: Federica ha solo me capite?», e la voce di Francesco, vedovo da nove mesi, si spezza. Hanno pianto insieme. La benedizione pasquale passa anche dalle lacrime di gioia, s'interroga Francesco. Di sicuro, rivedersi è stata l'unica tregua, un ramoscello di ulivo per scacciare almeno un po' di dolore e solitudine patiti in questi giorni di separazione.

Ora è ancora una lunga attesa. Al Marriot però hanno la possibilità di vivere una dimissione protetta. È questo l'obiettivo raggiunto grazie alla triangolazione tra Fondazione Gemelli, Regione Lazio e Marriot. «Grazie alla disponibilità della proprietà dell'hotel, l'albergo è oggi a disposizione per questa ospitalità post-dimissione ospedaliera per pazienti che non possono tornare a domicilio perché non sono ancora pronti per una ripresa della vita normale», spiega il prof. Barillaro. A Federica e al papà, e a tutti i pazienti, è stato fornito un kit: smartphone, termometro e saturimetro. Due volte al giorno devono inviare i parametri ai medici.

Il professor Barillaro si sta occupando di tutti questi pazienti. «È un momento estremamente delicato, la persona che ha vissuto paure e isolamento si ritrova un po' più libera ma sempre in isolamento - spiega Barillaro - succede che si slatentizzino tanti aspetti psicologici che fino a quel momento erano repressi. Assistiamo alle telefonate più disparate: chi ha paura, si lamenta, chi si sente male ma sta bene, chi sta male ma non lo dice perché non vuole tornare in ospedale. Situazioni che ci fanno capire quanto siano vulnerabili e quanto dobbiamo star loro vicini».

Succede anche che chi guarisce abbia il terrore dei contatti ravvicinati. «Poi ci sono bei momenti come quello di Federica che abbraccia il padre, è stata una benedizione», racconta Barillaro che di scampoli di umanità ne vede ancora tanti. «L'altro giorno ho visto la scena di una figlia che diceva Papà affacciati - racconta mentre si prende due minuti e mezzo di pausa - lui era nella camera di ospedale e quando si è affacciato sono scoppiati a piangere insieme». Poi torna a indossare l'elmetto: «Voglio ringraziare tutto il personale sanitario e non, e anche chi resta a casa perché dimostra rispetto per noi e per persone come il signor Papagno e Federica».

 
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Il Messaggero