È in quarantena dal 15 marzo e ha la febbre dal 25 marzo. La temperatura alta e i sintomi che accompagnano Albadoro Gala, burlesque performer reclusa in casa, sono...
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I FATTI
Albadoro Gala è chiusa in casa dalla metà del mese di marzo e poco dopo, ha iniziato a manifestare i primi sintomi di malessere che, il 25 marzo, si sono concretizzati con una febbre a 38 e mezzo. Da allora, a fasi alterne, la temperatura alta non l'abbandona mai. Sin dalla mattina dopo la comparsa della prima febbre, senza perder tempo e seguendo le istruzioni fornite dal governo, Albadoro contatta il suo medico curante che, a sua volta chiama la ASL, segnalandola come potenziale paziente positivo e, insieme a lei, viene riconosciuto degno di interesse anche il suo convivente Matteo che, fino alla proclamazione del lockdown generale, aveva girato l'Italia per lavoro in lungo e in largo. Su suggerimento del suo medico, Albadoro scarica la App "Lazio Doctor Covid", strumento online istituito dalla Regione per la gestione dei pazienti esposti al virus, aggiornato da lei quotidianamente, con l'inserimento dei dati e dei sintomi manifestati.
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Dopo appena due giorni Albadoro viene prontamente contattata da un incaricato dell'ASL che, dopo essersi appuntato tutti i suoi sintomi, le raccomanda di stare a casa e di isolarsi da Matteo e che, da quel momento, era segnalata alla Regione come "infetta". L'eventuale uscita avrebbe scaturito immediatamente dei risvolti penali. Un secondo incaricato raggiunge telefonicamente anche il suo convivente, dicendo all'uomo di isolarsi, ma non negandogli l'uscita (cosa strana agli occhi della donna, che guarda al compagno come una vera e propria mina vagante, avendogli dormito accanto fino alla sera prima). Da quel giorno il medico chiamerà Albadoro quotidianamente, inviando molteplici email all'ufficio profilassi dell'ASL, per sollecitare la pratica del tampone. Il 3 aprile, come tutte le mattine, la donna tenta di accedere all'App per inserire i dati giornalieri come di consueto, ma l'App è bloccata ed un messaggio le intima di non tentare l'accesso, poiché il servizio è destinato solo a chi presenta i sintomi da Covid-19. Avendo già utilizzato la App ed essendo ormai ampliamente nota al sistema, lo strano caso viene nuovamente riportato all'attenzione del medico curante, che ancora una volta invia segnalazione all'ente. Insieme i due tentano di mettersi in contatto con il numero destinato ai cittadini, poi con l'Ufficio Igiene e con tutti i numeri che nei giorni addietro avevano contattato lei e suo marito. Il tutto avviene invano.
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Anche al numero utile per le segnalazioni di malfunzionamento dell'App non risponde nessuno, fino a che il 13 aprile, un addetto risponde ad uno dei numeri da cui Albadoro e Matteo erano stati precedentemente chiamati. Il risultato è che nè il nome di Albadoro nè quello di Matteo, risultano iscritti agli elenchi dei pazienti o presunti tali e, poco dopo, lo stesso incaricato che legge gli screenshot delle conversazioni avvenute con i suoi altri colleghi, avanza l'ipotesi che le loro schede siano andate perse e invita dunque Albadoro a rifare la trafila.
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Su consiglio dell'addetto l'operazione viene rifatta ancora una volta dal medico di base, che tenta di far ripartire la macchina delle segnalazioni. Il tutto ricomincia da capo, ma senza alcun risultato, poiché i medici di base non hanno alcun potere per fare altro. E chi ha la possibilità di controllare i pazienti, smarrisce le schede degli infetti che, da quel momento, sono liberi di fare la qualsiasi. Dal 25 marzo scorso i sintomi della donna non sono mai spariti, oscillano ma sono sempre presenti, ed oggi lei non sa che fare né come uscirne. Una storia la sua, che potrebbe essere la storia di tanti e che evidenzia delle falle nel sistema gestionale dell'emergenza Coronavirus. Se lo scopo dell'ASL è fare uno screen dei pazienti e lo strumento adatto dovrebbe essere la App, forse non siamo sulla strada giusta.
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Il Messaggero