«Coronavirus? Sono giorni davvero mai visti prima: i nostri pazienti vengono col giornale sotto braccio, passano a ritirare i farmaci, fanno una piccola spesa e poi...
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La farmacia è una parente stretta degli ospedali, com’è lavorare in questi giorni?
«Siamo abituati alle emergenze, a lavorare la domenica o a Natale, resteremo qui a contatto col pubblico anche se in 30 anni di carriera non ho mai visto niente di simile».
Come state gestendo la situazione?
«I pazienti arrivano e ci chiedono di tutto, dalle mascherine e guanti che non abbiamo neppure per noi. E poi fanno domande sui sintomi e le strategie per innalzare le difese immunitarie. Hanno paura che chiudiamo. Poi applichiamo gli imperativi del Ministero: lavaggi di tutte le superfici dure con ipoclorito di sodio, che è la varecchina, oppure con alcol. Mi lavo spessissimo le mani, anche ogni due ore».
Vengono molti anziani?
«Sì moltissimi, fanno la fila pazienti, distanziati, fanno scorta dei farmaci per le loro terapie e noi ripetiamo a tutti che devono stare a casa e che chi segue una terapia con anti ipertensivi non deve assolutamente interromperla. Allora loro vanno a casa e poi ci telefonano per dirci che hanno obbedito ma anche per controllare se siamo ancora qua, aperti e pronti ad aiutarli in caso di bisogno».
Siete in trincea.
«Sì siamo in trincea ma restiamo qui fin quando finirà e oltre. Un signore ieri aveva bisogno di guanti per una medicazione. Non ne avevamo e gli abbiamo dato i nostri».
Ci sono farmacie rapinate
«È la dimostrazione che siamo sul fronte di guerra. Siamo esposti a ogni sorta di delinquenza. Non solo rapine, ci sono anche furti notturni. Se una farmacia subisce un furto vuol dire che il giorno dopo quella farmacia funzionerà male: è un danno a tutta la collettività».
Oltre ai farmaci di cosa hanno bisogno le persone?
«Di parlare, si confidano e ci dicono per esempio se trovano un articolo al supermercato che è aumentato, ma la domanda più frequente è: quando finirà».
Cosa risponde?
«Diciamo la verità, che siamo un grande paese e che bisogna seguire le indicazioni degli esperti pubblicate dai giornali tutti i giorni».
Com’è stare dietro quel bancone Nino?
«A volte i pazienti vengono qui agitatissimi, irriconoscibili per noi che li conosciamo da tanti anni, articolano male le parole e sono in preda a stati di ansia, fanno domande in continuazione. Noi manteniamo la calma e assistiamo tutti».
E voi come fate per tenervi su?
«Non è facile. Coi colleghi parliamo di ordini, reperibilità, consegne. Diamo una parvenza di normalità ma quando cala la sera e ci troviamo a uscire soli nel quartiere vuoto e sentiamo il rumore dei sassi. Sai abituati alla vita frenetica di Roma in quel momento un po’ di sconforto sale anche noi». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero