Roma, i commercianti si reinventano distributori di mascherine per non fallire e aiutare il Paese ma «I nostri carichi restano bloccati alla Dogana»

Roma, i commercianti si reinventano distributori di mascherine per non fallire e aiutare il Paese ma «I nostri carichi restano bloccati alla Dogana»
Più di un commerciante lo ha fatto dopo aver tirato giù la saracinesca del proprio negozio e mandato a casa i dipendenti. Lo hanno fatto soprattutto quelli che...

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Più di un commerciante lo ha fatto dopo aver tirato giù la saracinesca del proprio negozio e mandato a casa i dipendenti. Lo hanno fatto soprattutto quelli che gestiscono una catena - non legata alla grande distribuzione - e che hanno dunque una rete di punti vendita attivi sul territorio cittadino e/o regionale.  Imprenditori a tutti gli effetti che però in tempo di emergenza da coronavirus hanno dovuto sospendere le proprie attività commerciali perché non ritenute di pubblica utilità.


Tra i tanti, il settore dell'abbigliamento e dell'oggetistica si è fermato ma diversi titolari che ovviamente continuano a pagare i dipendenti - a volte anche 60 persone tra commessi, impiegati e magazzinieri - si sono riconvertiti in distributori di mascherine e dispositivi di protezione ordinando nelle stesse aziende estere da cui si rifornivano - e che a loro volta hanno convertito la produzione - ingenti quantitativi di dispositivi per servire poi all'ingrosso farmacie, cliniche, laboratori di analisi e anche ospedali.

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Insomma lo hanno fatto certo per evitare il fallimento ma anche per rendersi utili in un periodo in cui le mascherine non bastano neanche per i medici impegnati nella prima linea delle Terapie intensive. Per rendere l'idea: in Italia servirebbero ogni settimana non meno di 75 milioni di mascherine. 

Ma in questa storia c'è, tuttavia, un "però". Perché molti di questi commercianti, ordinando a spese proprie i carichi di dispositivi a fabbriche estere - molte delle quali cinesi -, hanno vistro poi bloccarsi alla Dogana le spedizioni in arrivo. Il motivo? «Sono in attesa dell'utilizzo da parte della Protezione civile», spiega Marco Morici, imprenditore e titolare di diversi negozi nella Capitale che in queste settimane si è ricovertito in distributore per non dover licenziare oltre 50 dipendenti e che ha iniziato a lavorare per farmacie, laboratori di analisi e ospedali. 

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«Per garantire una capillare disponibilità di dispostivi a tutti, dalle famiglie ai laboratori d'analisi, dalle cliniche private agli ospedali, dalle farmacie ai supermercati, serve una forza distributiva enorme e questo - conclude l'imprenditore - richiede la collaborazione di tutti gli operatori commerciali e distributivi organizzati sul territorio. Nessun ente pubblico è in grado di farlo senza l’aiuto di centinaia di migliaia di operatori organizzati». Che però in questo momento, pur dandosi da fare, sono bloccati e doppiamente penalizzati: trovano il modo per rifornire l'Italia di dispositivi ma i loro carichi rischiano di restare bloccati e questo frena le importazioni. 
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Il Messaggero