È tempo che un regista adocchi una telenovela reale che a suon di speronamenti, processi, galline morte, bottiglie incendiarie, percosse, tavoli imbanditi rovesciati e...
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Ieri nelle aule di piazzale Clodio la saga infinita ha inaugurato un nuovo capitolo: sul banco degli imputati Piscicelli. Il nobile napoletano è imputato di minaccia e danneggiamento della Micra di Sardagna. Un contatto quasi ravvicinato sulla Cassia. È il 21 aprile del 2015, Sardagna e Piscicelli si trovano alla guida nella Capitale. Sono passati pochi giorni da quando il gip di Grosetto ha decretato per Piscicelli lo sfratto dalla villa all'Argentario per inadempienze contrattuali, nominando come custode giudiziale proprio il conte capitolino.
Il semaforo è rosso e Piscicelli - denuncia ai carabinieri la presunta vittima - si avvicina al lato guida del conte. «Ti metto in carrozzella... ti ammazzo», si legge nell'accusa sostenuta dal pm Andrea Iolis, le parole proferite dall'imputato, difeso dall'avvocato Gianpietro Anello. L'imprenditore partenopeo avrebbe rotto lo specchietto retrovisore come reazione a quanto accaduto pochi giorni prima a Orbetello. Non la pensa così la difesa, in una memoria afferma: Piscicelli ha risposto a un pedinamento di Sardagna.
UNA LUNGA BATTAGLIA
Sarà il processo a decretare chi avrà la meglio, ma non è facile ricostruire le tappe della tribolata separazione della nobile coppia dopo quasi 30 anni. Una battaglia iniziata a suon di denunce e finita in tribunale con lui imputato e lei parte civile. La sentenza nel 2016 costò a Sardagna una condanna a tre anni per lesioni all'ex moglie e maltrattamenti in famiglia. Teatro delle sfuriate, dal 2008 al 2012, il castello di Tor Crescenza, enorme magione tra Cassia e Flaminia dove da separati hanno continuato a vivere in due ali diverse. Una residenza da sogno scelta da Berlusconi nel 2010 per una pausa estiva e teatro di matrimoni vip (Totti e Ilary). Nel 2012 un giudice aveva allontanato da casa il conte (doveva stare a 250 metri, ma infranse il divieto, speronò la principessa, appese una gallina morta alla finestra), accusato di aver costretto la principessa, figlia di Scipione Borghese (discendente diretto di Papa Paolo V) a subire umiliazioni e percosse. La principessa lo aveva lasciato e frequentava da poco con Piscicelli. Il conte avrebbe minacciato anche la sorella del rivale e il suo commercialista. Poi toccò alla principessa, sfrattata dalla residenza su sentenza del giudice civile: avrebbe assalito a suon di schiaffi e morsi i vigilantes. Il nobiluomo nel frattempo era già stato anche rinviato a giudizio per stalking (2013). «Devi sottometterti come tutte le mogli» ripeteva anche davanti agli avvocati, per poi continuare a seguirla, facendo installare un sofisticato sistema di telecamere e microspie.
Atteggiamenti persecutori che avevano costretto Sofia Borghese a lasciare l'abitazione. Poi il giudice dispose l'allontanamento da Roma del conte. 2016, altri guai: viveva nel castello tra piccoli spostamenti in elicottero e altre ville ma risultava nullatenente avendo intestato i beni a giardiniere, domestica, custode e guardia del corpo. La Finanza gli sequestrò beni per 3 milioni di euro. Il conte negò le accuse. Durante un weekend a Porto Ercole qualcuno lanciò una bottiglia incendiaria nell'imbarcazione di 12 metri dove i due passavano la notte: il conte nel 2017 fu rinviato a giudizio. Nel 2013 aveva dato alle fiamme l'elicottero del rivale, un'altra volta dopo aver fatto nascondere 900 grammi di cocaina nella villa di Piscicelli e chiamato la polizia. Certe storie non finiscono, se sono tese meno che mai. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero