Franceschini ricorre/ Se il Tar boccia anche il Parco del Colosseo

Franceschini ricorre/ Se il Tar boccia anche il Parco del Colosseo
Ci risiamo, dopo il no alle procedure internazionali di nomina dei nuovi musei nazionali italiani, il Tar del Lazio ha detto un altro no di forte impatto sull’idea che il...

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Ci risiamo, dopo il no alle procedure internazionali di nomina dei nuovi musei nazionali italiani, il Tar del Lazio ha detto un altro no di forte impatto sull’idea che il mondo si fa della politica culturale italiana. Ha infatti accolto i ricorsi presentati contro l’istituzione del Parco del Colosseo, anch’essa voluta dal ministro della Cultura, Dario Franceschini.


Le motivazioni ancora non si conoscono, ciò malgrado le ragioni di chi ha impugnato siano pubbliche, e consentono di esprimere purtuttavia un giudizio. Vedremo dunque le argomentazioni formali del Tar, a attenderemo come per i direttori dei musei che a pronunciarsi sia poi il Consiglio di Stato. Ma la prima impressione è fortemente negativa. Per almeno due ragioni. Dietro l’idea e l’istituzione del Parco c’è un bilancio critico di decenni di gestione totalmente insoddisfacente dello straordinario patrimonio archeologico-monumentale del centro di Roma. Ecco perché l’idea era di semplificare il rapporto istituzionale tra Stato centrale e Campidoglio, accorpando nel Parco la responsabilità dell’Anfiteatro Flavio, del’intero complesso dei Fori Romani, Palatino e Domus Aurea a Colle Oppio.

E unendo tutto il resto delle competenze sull’intero territorio romano in una Soprintendenza speciale al posto di quella precedente che era ordinaria, e a cui si aggiungeva quella mista su belle arti e paesaggio extra mura Aureliane. Con il no del Tar, verrebbe di fatto meno sia il tentativo di proiettare finalmente su scala mondiale – di qui la scelta di una gara internazionale – la tutela e la valorizzazione di Fori, residenze imperiali e Colosseo, sia il disegno di razionalizzatore delle competenze. E si aggiunge un nuovo colpo alla credibilità estera delle iniziative italiane in questo campo decisivo, come non bastasse l’annullamento dei direttori perché si è osato audirli via Skype e non fisicamente, sotto il ticchettio di una avanzatissima Olivetti Lettera 22. Il ricorso del Comune di Roma è stato giustificato più volte rilevando che alla nuova Soprintendenza speciale romana resterebbe solo il 30% dei quasi 40 milioni di introiti del Colosseo, rispetto all’80% precedente. E il ministro Franceschini ha più volte risposto che a quel 30% sono però da sommare le dotazioni aggiuntive alla Soprintendenza che il ministero avrebbe riconosciuto, in modo da non creare vulnus. Ma il punto di fondo è un altro: il Comune ha sostenuto che il Parco è l’ennesimo colpo di un disegno politico che mira a defraudare Roma della gestione del proprio patrimonio. Che si tratta di un disegno volto alla “mercificazione” dei beni monumentali di serie A.

Le domande vere da porsi dovrebbero però essere altre. E’ vero o no, che oggi ai milioni di visitatori dei Fori non si offre nemmeno in loco un semplice rendering di come si presentavano durante il corso dei secoli, dall’epoca dei re a quella repubblicana e fino alla fine del principato, perché l’unica ricostruzione – risalente per altro filologicamente a ricerca e scavi del primo Novecento – sta al Museo della civiltà romana all’Eur? E’ vero o no, che da decenni sarebbe possibile ad esempio bandire una gara internazionale per offrire a tutti i visitatori un visore collegato in Gps che consenta, a seconda di dove si volga lo sguardo nel percorso Colosseo-Palatino, di averne la proiezione tridimensionale delle assonometrie urbane e architettoniche evolutesi nel tempo? Che cosa lo ha finora impedito? Possiamo dire che è la parcellizzazione delle competenze e la mancanza di una proiezione internazionale a consegnarci un bilancio amaramente negativo? Possiamo aggiungere che Roma, intesa come amministrazione municipale, ha oggettivamente altre emergenze nella gestione e organizzazione dei suoi servizi essenziali, per pensare che dal Campidoglio possa venire la risposta più adeguata a una sfida di management culturale di questa portata? Questi sono i nostri semplici interrogativi, su queste domande retoriche si fonda la convinzione che l’idea di Franceschini fosse cosa buona.


Leggeremo con curiosità il dispositivo del no emesso dal Tar. Ma una cosa è sicura. Se nei decenni non è nata né la grande area monumentale unica romana fino ad Ostia di cui parlava decenni fa Antonio Cederna, né è mai stato possibile veder studiata e realizzatate una sola delle tantissime grandi proposte avanzate negli anni dal più grande archeologo vivente della Roma antica, Andrea Carandini, ebbene la ragion prevalente è stata proprio la burocrazia imperante e il corto orizzonte della politica. Dare una dimensione internazionale al Parco dei Fori e del Colosseo non è un’espropriazione di un bel nulla. Significa tornare a proiettare nel mondo ciò che nacque allora e si sviluppo a Roma avendo il mondo in testa. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero