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Il Lazio prova a respingere lo spettro della zona arancione, mentre il numero dei ricoverati per Covid torna a salire. Intanto, a creare maggiore pressione sui nosocomi romani, ci pensa anche il numero di medici e infermieri contagiati. E su questo fronte un pericoloso campanello d’allarme arriva da una grande struttura come il San Camillo: qui la direzione sanitaria è stata costretta a chiudere due reparti per mancanza di personale, proprio perché crescono i sanitari infettati. Lunedì, se non si reperiranno altri addetti, non riapriranno né la chirurgia generale week né la cardiologia week. «È assurdo - tuona Stefano Barone, segretario provinciale del Nursind, il sindacato degli infermieri - che un reparto di interventi salva vita chiuda perché mancano legittimamente gli infermieri oramai spremuti come limoni. I sanitari sono pochi e allo stremo dopo due anni di pandemia. Nello stesso momento, poi, in cui si decide di ampliare il numero dei posti letto Covid vanno assunti anche gli infermieri che debbono seguirli, altrimenti si chiudono i reparti per sopperire alla mancanza di programmazione».
Nell’ospedale, infatti, ci sono attualmente 120 infermieri e 25 medici che hanno contratto il Covid: una situazione che acuisce la già forte carenza di personale. Per la cronaca, sono state fermate le attività di due presidi che si occupano principalmente di interventi e screening di elezione, cioè quelli programmabili e di conseguenza rinviabili. Mentre è garantito l’accesso a tutte le urgenze. «Ma questa precisazione - spiega un primario della struttura - non riduce il problema: vuol dire che vengono procrastinate ancora le cure per malati non Covid, che interventi importanti per la salute e la prevenzione dei pazienti, vengono spostati in avanti. Quando? Non lo sappiamo. E questo a sua volta comporta una crescita delle liste d’attesa, gente al pronto soccorso costretta ad aspettare più tempo per avere un letto in reparto senza dimenticare, più in generale, che da quando è iniziata la pandemia vediamo più gente morire per patologie, come quelle cardiache, che un tempo erano più gestibili con la prevenzione».
I DATI
La rete ospedaliera nel Lazio, in questo momento, sta reggendo sempre più a fatica.
E l’effetto? Dice Roberto Cerchia della Cisl: «Un’operazione di colecisti slitta anche di 5 mesi, per un ernia inguinale di un anno. E per un tunnel carpale se ne riparla forse a fine anno». Il focus quindi è sul combinato disposto tra reparti riconvertiti per Covid e i rinvii delle prestazioni d’elezione. E i problemi ci sono un po’ ovunque. Sempre al San Camillo è avvenuta la riclassificazione (solo per i malati di coronavirus) di una rianimazione, di 4 pneumologie e di una medicina generale. A Tor Vergata “chiusi” endocrinologia e diabetologia, all’Umberto I tre cliniche chirurgiche per trasferire il personale in sei medicine Covid. Al Pertini tutti gli infermieri di Ortopedia sono stati spostati in Covid, sostituiti da giovani colleghi di una cooperativa «Non si è mai visto - spiega Michele Cipollini della Fials - che un ospedale dia in appalto le cure di un reparto a una ditta esterna. Tra l’altro i nostri infermieri lavorano senza adeguati percorsi sporco-pulito e il numero dei contagi tra gli operatori continua a salire. I tamponi, rapidi poi, ogni dieci giorni non bastano». Al S. Eugenio non si va più in sala operatoria per gli interventi non urgenti: di più, la chirurgia ha dovuto lasciare ai pazienti i covid i 6 suoi posti di terapia intensiva. In caso di complicanze dopo l’intervento il paziente resta in sala operatoria, usata come una rianimazione.
Il Messaggero