Simone e la paura di non essere come gli altri

Una scena del film Chiamami col tuo nome
Non è facile accettare la propria diversità, quando il mondo, la tua Roma, ti suggerisce di omologarti, di non urlare a tutti che non sei come loro. E questo Simone...

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Non è facile accettare la propria diversità, quando il mondo, la tua Roma, ti suggerisce di omologarti, di non urlare a tutti che non sei come loro. E questo Simone lo sa bene, da quando, tra i banchi del suo liceo, in Prati, sentiva i compagni sghignazzare tutte le volte che qualcuno citava quella parola che aveva il sapore del proibito: gay.


Sarà per questo, che, come un riflesso condizionato dalla paura di indossare quella definizione con orgoglio, che Simone (con)vive ogni giorno con una maschera che si è disegnato addosso. E quando è con gli amici lascia un pezzo di sé a casa, chiuso nell’armadio. Perché è più facile soffocare quel lato, che guardare in faccia la realtà. «Soffochiamo così tanto di noi per guarire più in fretta – recita uno dei protagonisti del film ‘Chiamami col tuo nome’ di Luca Guadagnino - così tanto che a 30 anni siamo prosciugati e ogni volta che ricominciamo una nuova storia con qualcuno diamo sempre di meno».

E, per questo, Simone, quando legge di giovani bullizzati per il loro orientamento sessuale, preferisce credere che sia meglio nascondersi. Perché, per citare André Aciman, autore del testo che ha ispirato Guadagnino, «la maggior parte di noi non riesce a fare a meno di vivere come se avesse a disposizione due vite, la versione temporanea e quella definitiva, più tutte quelle che stanno nel mezzo. Invece di vita ce n’è una sola, e prima che tu te ne accorga ti ritrovi col cuore esausto e arriva un momento in cui nessuno lo guarda più».

marco.pasqua@ilmessaggero.it Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero