La prima volta che ho sentito parlare di Irene Brin avevo sei anni @NuoviArgomenti Fortunato il twittatore della rivista...
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parlare di Irene Brin
avevo sei anni
@NuoviArgomenti Fortunato il twittatore della rivista letteraria Nuovi Argomenti. Certe cose belle è bello impararle fin da piccoli. Ed Irene Brin, scrittrice e giornalista di moda e di tanto altro, pupilla di Leo Longanesi e di tanti altri in Italia e all'estero, scomparsa nel 1969, è quanto di più intelligente e piacevole si possa immaginare. Roba vecchia? Macché. Adesso è uscito in libreria un suo inedito, “L'Italia esplode. Diario dell'anno 1952”. Roma è la protagonista di queste pagine: ora, come città e come nazione, ci piangiamo sempre addosso. Prima, uscita dalla seconda guerra mondiale, Roma era un modello di vitalità, di ottimismo. Creava, inventava, faceva. E la Brin racconta benissimo, con entusiasmo e palpitazione, l'atmosfera di quel tempo. Non ci si può sforzare di recuperarla? Era il tempo in cui la cultura pervadeva la città. Tra feste sulle terrazze, litigate vere tra intellettuali finti e litigate finte tra intellettuali veri (ce n'erano). Salvador Dalí, una sera, a un party, si rivolge di botto a Giorgio De Chirico: «Tu quanti milioni guadagni più di me?». Loro due, e Burri, Cartier-Bresson, Audrey Hepburn, Truman Capote, Guttuso, Savinio, Flaiano: qui stavano tutti, stanziali o di passaggio. Charlie Chaplin lo si poteva incontrare a Trastevere, mentre addentava i bucatini. Era la città in cui si sapeva avere l'umiltà, in un presente povero, di guardare con disincantata speranza al futuro. Adesso basterebbe poco a recuperare quello spirito. Un buon inizio sarebbe quello di liberarsi dell'alibi della crisi e del narcisismo della decadenza. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero