Caso Vannini, il luogotenente Izzo sentito 3 ore in procura

Caso Vannini, il luogotenente Izzo sentito 3 ore in procura
Roberto Izzo è stato ascoltato in procura a Civitavecchia. Il luogotenente dei carabinieri, ex comandante della stazione di Ladispoli la sera dell’omicidio di Marco...

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Roberto Izzo è stato ascoltato in procura a Civitavecchia. Il luogotenente dei carabinieri, ex comandante della stazione di Ladispoli la sera dell’omicidio di Marco Vannini, è stato sottoposto ieri ad interrogatorio, in compagnia del suo legale Rossana Lania, di fronte al procuratore capo, Andrea Vardaro e al pm titolare del fascicolo, Roberto Savelli. Un colloquio durato circa 3 ore a cui il militare ha risposto a tutte le domande degli inquirenti ripercorrendo la notte del 17 maggio 2015. Izzo è indagato per favoreggiamento e falsa testimonianza dopo le dichiarazioni rese ai giornalisti, e poi confermate come persona informata sui fatti davanti ai magistrati, di Davide Vannicola, il commerciante che ha fatto aprire una seconda indagine sul caso. Il titolare di una pelletteria a Tolfa ha sostenuto che il luogotenente Izzo, per altro suo amico, gli ha rivelato che a premere il grilletto uccidendo il giovane cerveterano di 20 anni non sarebbe stato Antonio Ciontoli, sottoufficiale della Marina e inquadrato nei servizi segreti, ma il figlio Federico. Sempre secondo Vannicola, Izzo, in una telefonata, avrebbe consigliato ad Antonio Ciontoli di prendersi lui la colpa. Parole forti che hanno inevitabilmente costretto la procura a fare chiarezza per scoprire se possano essere attendibili le ricostruzioni fornite dal negoziante tolfetano oppure se credere all’innocenza di Izzo. In quest’ultimo caso nei guai allora potrebbe finirci Vannicola. Ma ancora è prematuro e si saprà solo nei prossimi giorni come agirà la magistratura inquirente. Pm che hanno già sentito, sempre come persone informate sui fatti, anche la compagnia di Vannicola, la ex moglie di Izzo e stretti suoi conoscenti, tre carabinieri in servizio la sera della tragedia tra cui il brigadiere Manlio Amadori spinto anche dal ministro alla Difesa, Elisabetta Trenta, a rivolgersi all’autorità giudiziaria.
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Il Messaggero