Giovane si rompe il naso e muore sotto i ferri: anestesista a giudizio

Alessandra Rauco
E' entrata in ospedale per un banale intervento chirurgico al setto nasale. Un'operazione di routine dalla quale avrebbe dovuto riprendersi nel giro di qualche ora, ...

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E' entrata in ospedale per un banale intervento chirurgico al setto nasale. Un'operazione di routine dalla quale avrebbe dovuto riprendersi nel giro di qualche ora,


ma è morta dopo venti giorni di coma, in un letto del reparto di terapia intensiva del Policlinico Casilino Nuovo.

Una tragedia, quella di Alessandra Rauco, trentacinquenne originaria di Leonessa, in provincia di Rieti, che ha finito per trascinare a giudizio l'anestesista romana Vincenza Spagnoli. L'imputata, già comparsa davanti al pubblico ministero Gianluca Mazzei e al giudice della settima sezione penale del tribunale di Piazzale Clodio, accusata di imperizia e negligenza nello svolgimento delle sue mansioni, dovrà infatti rispondere del reato di omicidio colposo.

LA STORIA

La vicenda ha inizio nel gennaio del 2009, quando Alessandra Rauco rimane coinvolta in un piccolo incidente stradale senza gravi conseguenze. La ragazza, cade dal suo motorino e quando si rialza si reca al pronto soccorso più vicino, dove viene accettata in codice verde. A parte qualche escoriazione, la vittima è uscita praticamente indenne dall'impatto. Fatta eccezione per il setto nasale, tutte le ossa sembrano a posto e l'unico intervento necessario risulta essere quello di riduzione della frattura del naso. Considerato l'accaduto, Alessandra può ritenersi fortunata e, il cinque gennaio, quando entra in sala operatoria spera di potersene tornare a casa di lì a poche ore.

DIFFICOLTÀ RESPIRATORIE


Ma le cose non vanno affatto come dovrebbero e, quando la Spagnoli le somministra l'anestesia, la giovane sprofonda in un sonno dal quale non si sveglierà più. Durante l'operazione, infatti, la vittima inizia ad accusare delle serie difficoltà respiratorie. Gli apparecchi di monitoraggio segnalano che qualcosa sta andando storto, ma l'imputata non dimostra la necessaria reattività nell'intervenire per salvare la paziente. L'ossigeno che arriva al cervello di Alessandra è troppo poco e nel giro di qualche minuto entra in uno stato di ipossia cerebrale, che finirà per causarle una serie di danni irreversibili. In mancanza di una tempestiva manovra di rianimazione, capace di assicurare il ripristino di una ossigenazione sufficiente, la trentacinquenne entra in coma. Un calvario che, al termine di tre settimane di coma, la porterà al decesso per insufficienza cardiorespiratoria.



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Il Messaggero