Cancelliera a processo. Gioia Boldrini «faceva l'usuraia dall'ufficio dei pm»

La donna quando è stata arrestata lavorava alla Dna

Cancelliera a processo. Gioia Boldrini «faceva l'usuraia dall'ufficio dei pm»
Dalle cancellerie della Procura al banco degli imputati. Il passo è stato breve per una ex cancelliera della cittadella giudiziaria di piazzale Clodio, poi passata alla...

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Dalle cancellerie della Procura al banco degli imputati. Il passo è stato breve per una ex cancelliera della cittadella giudiziaria di piazzale Clodio, poi passata alla Direzione nazionale antimafia: seguiva gli affari di famiglia, l'usura, «durante le ore di lavoro in Procura», «mostrandosi del tutto indifferente allo stesso contesto lavorativo nel quale operava da anni». Con queste motivazioni il Tribunale del Riesame di Roma aveva respinto, lo scorso 18 agosto, la richiesta avanzata dalla difesa di Gioia Boldrini di tornare in libertà. E adesso la dipendente del ministero della Giustizia è finita direttamente a processo, insieme all'ex marito, al figlio e a un socio. La donna era in servizio alla Dna quando, il 6 luglio, è finita agli arresti domiciliari.

 

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Ora il pm Francesco Basentini ha chiesto e ottenuto di procedere con il rito immediato, arrivando sul banco degli imputati saltando la fase dell'udienza preliminare. Insieme alla Boldrini, ci saranno anche l'ex marito Giovanni Garofalo, il figlio Valerio Garofalo e il suo fidato collaboratore Maurizio Cortellini, detto l'ingegnere. Le accuse mosse dalla Procura, a vario titolo, sono di associazione a delinquere finalizzata all'estorsione, esercizio abusivo del credito e usura. Il giro sarebbe stato messo in piedi in piena emergenza Covid.
I SOLDI A TENERIFE
Le indagini, condotte tra giugno 2020 e marzo 2021 dalla Squadra Mobile nell'ambito di un'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giovanni Conzo, sono scaturite dalla denuncia di un piccolo esercente della Garbatella che, essendo in difficoltà economiche, si era rivolto a Valerio Garofalo. Il 38enne romano, ora residente sull'isola spagnola di Tenerife, gli aveva concesso inizialmente denaro in prestito con un tasso d'interesse piuttosto contenuto, ma pur sempre superiore a quello consentito: lo scopo era attirare più clienti, convincendoli dalla convenienza dei prestiti. Subito dopo, però, gli interessi si moltiplicavano. Chi non pagava veniva minacciato così dal giovane Garofalo: «Mo' ti faccio male, ti mando a spaccare tutto... Mi so' stufato, so quattro anni, mi mandi una piotta quando ti capita». Il denaro gli veniva recapitato direttamente a Tenerife dal suo socio, Cortellini.

 

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«ERANO STRUMENTO DEL FIGLIO»
«I genitori di Valerio Garofalo erano lo strumento attraverso il quale quest'ultimo agiva in senso delittuoso - spiegano i giudici del Riesame - Gli indagati non mostravano mai di discostarsi dai propositi illeciti del figlio, che invece facevano interamente propri, prestandogli costantemente il loro contributo nell'ambito di ciò che veniva loro chiesto». Addirittura, in un caso la Boldrini si sarebbe fatta consegnare da una delle vittime le registrazioni delle telecamere di sorveglianza del suo locale, per controllare il numero dei clienti in entrata e quindi quantificare gli incassi. I video, per l'accusa, sarebbero stati guardati in ufficio. I giudici sottolineano infatti che la cancelliera non solo commetteva reati «nonostante il tipo di attività che svolgeva», ma addirittura si occupava delle attività illegali durante l'orario in cui era in servizio.
LA DIFESA


«Confido che nel processo la Boldrini potrà dimostrare la propria estraneità ai fatti, siamo convinti che molte accuse verranno ridimensionate. Valuteremo anche la possibilità di dividere le posizioni e accedere a eventuali riti alternativi, ove ritenuto opportuno», ha dichiarato l'avvocato Cesare Gai, che assiste la cancelliera e i suoi familiari.
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Il Messaggero