Un ascensore bloccato, che per il caldo si trasforma in una trappola asfissiante. Dopo venti minuti d'attesa, la richiesta d'aiuto di una mamma chiusa lì dentro con...
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I fatti risalgono al 9 luglio dello scorso anno. È un pomeriggio caldissimo. Marco stinge un peluche, cammina accanto a mamma Francesca, che spinge un passeggino. Hanno appena trascorso una giornata di shopping a Roma. Metro Furio Camillo, troppe scale da scendere: la donna decide di prendere l'ascensore che dalla biglietteria conduce ai binari. Premuto il pulsante che porta al piano interrato, la corsa d'improvviso s'arresta: Francesca e Marco sono bloccati lì dentro. Passano venti minuti, il caldo è insopportabile, il bimbo si agita. «Qui stiamo svenendo, non respiriamo. Potrebbe sollecitare?», dice Francesca parlando al microfono collegato con il gabbiotto della sicurezza.
LA MANOVRA
Un tecnico dell'Atac risponde, decide d'intervenire. Non sarebbe di sua competenza: dovrebbe aspettare i soccorritori che sono già in viaggio verso la fermata. Effettua da solo la manovra di salvataggio. Fa scendere un montacarichi fino al livello dell'ascensore bloccato. Poi, apre entrambe le porte. Tutto succede in un lampo. Il tecnico dimentica di inserire una passerella nello spazio tra i due elevatori. Marco vede un pertugio, sguscia via dalle braccia della mamma e corre verso l'operatore. Preso dall'euforia, non riesce a precorrere quella breve distanza: non salta, cade nel varco, precipita per venti metri. «Mi è scivolato tra le dita», urla Francesca. Immediato l'intervento dei vigili del fuoco e dei paramedici del 118. Ma per il piccolo non c'è nulla da fare. L'intero quartiere Appio-Tuscolano è sconvolto. Il giorno dopo, davanti alla fermata compaiono fiori, pupazzi e candele. Il giorno del funerale viene proclamato il lutto cittadino, e la città si raccoglie in un minuto di silenzio.
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Il Messaggero