Hanno i nasi colorati, le valigette piene di giochi: le bolle di sapone, i palloncini da gonfiare, la mano che si illumina di E.T. ma anche i fonendoscopi e le finte siringhe,...
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Perché lo spiega bene uno dei volontari, Francesco Stella, prima di dedicarsi ai suoi piccoli pazienti con giochi di prestigio e palloncini da gonfiare: «Non sempre e non tutti tra i bambini riescono a godere di questi brevi momenti ma un giorno senza sorriso, come diceva Charlie Chaplin, è un giorno perso e vederli divertirsi, anche se per poco, ci fa capire quanto il nostro lavoro non sia infruttuoso». Al contrario, la loro presenza «facilita anche il nostro intervento - prosegue Angela Mastronuzzi, oncologa del dipartimento guidato dal professor Franco Locatelli - perché permette ai piccoli di approcciarsi alle cure con meno resistenze». E tutti i bambini riescono a giocare «perché al fianco delle modalità fisiche - prosegue ancora la Mastronuzzi - i clown riescono a divertire con dei veri e propri spettacoli anche quei pazienti che non possono muoversi, come i bambini con il cuore di Berlino».
Dal 1980 il Bambino Gesù affianca alle cure mediche la clownterapia «che è diventata, negli ultimi dieci anni, una costante - aggiunge Lucia Celesti, responsabile Accoglienza e servizi per le famiglie dell'Obg - in tutti i reparti, compreso quello dei prelievi dove abbiamo potuto verificare come l'intervento dei clown contribuisca a ridurre l'emolisi durante l'asportazione del sangue per le analisi». Non solo, i "patch adams" del Bambino Gesù aiutano anche ad «abbattere le distanze sociali - conclude la Celesti - e facilitano un'integrazione multiculturale tra piccoli e genitori provenienti da paesi e realtà diversi». Perché il gioco non ha bisogno di parole per spiegarsi e riesce là dove molti altri falliscono. Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero