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«Insistere sull'autonomia differenziata è dannoso per Roma e il Lazio. Si rischiano di perdere migliaia di posti di lavoro con conseguenze negative sulle famiglie e sulle imprese in modo particolare per il tessuto medio e piccolo. Si rischia la desertificazione della capitale. È un provvedimento che non può passare». Lo ha detto Alessio D'Amato candidato presidente alla Regione Lazio, dopo la denuncia sulle pagine del Messaggero.
Autonomia, così riduce i posti di lavoro a Roma
Qualche anno fa, nel 2011, Umberto Bossi ottenne di aprire a Monza delle “dependance” di alcuni dicasteri. Ci pensò l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a ricordare che di capitale in Italia ce n’è una sola ed è Roma. Il progetto del Carroccio fu respinto con perdite. Capita la lezione, i governatori delle Regioni del Nord hanno trovato un’altra strada: invece di spostare i ministeri, spostiamo i contenuti dei ministeri, le competenze. Per Roma il risultato non cambia. Il rischio è lo svuotamento delle attività amministrative e la desertificazione della città. Dietro l’autonomia differenziata chiesta da Veneto e Lombardia, c’è insomma una “questione Capitale”.
LE RICHIESTE
Prendiamo una delle richieste fatta dalle due Regioni, quella di poter gestire le competenze sulla scuola.
Autonomia, nel progetto Calderoli rispunta il “residuo fiscale”. Al Nord un pezzo di Irpef
IMPATTO SULLA CAPITALE
L’impatto su Roma rischia di essere molto pesante. Non solo per l’occupazione pubblica “diretta”, ma anche per tutto l’indotto che gira attorno all’attività amministrativa della Capitale: studi di professionisti, società di consulenza, esercizi commerciali di prossimità. La domanda, insomma, è che ruolo si vuole dare a Roma e come si “compensano” queste perdite. Probabilmente ci vorrà una legge, una sorta di “manovra per Roma”. Ma anche dirottando sulla Capitale tutte le grandi manifestazioni o le Autorità internazionali per le quali il Paese dovesse essere candidato. Dare insomma alla città il ruolo che le spetta. La questione della Capitale è probabile che nel prossimo futuro affianchi quella pure importante dei Lep e dunque del livello dei servizi che devono essere garantiti ad ogni cittadino su tutto il territorio nazionale a prescindere da dove vive. Anche da questo punto di vista il progetto della Lega non convince. I Lep inseriti nell’articolo 143 della manovra, assomigliano più a una ricognizione amministrativa dell’esistente che ad una vera determinazione di livelli essenziali di prestazioni da garantire. Ma soprattutto manca qualsiasi indicazione sulle risorse finanziarie necessarie ad assicurare che quei livelli siano garantiti in tutte le Regioni. Intanto, ha spiegato ieri Calderoli, la maggiore spesa che le Regioni interessate dall’autonomia dovranno sostenere, dovrà essere finanziata con la compartecipazione ai tributi erariali. Alle Regioni, secondo il progetto Calderoli, dovrà andare qualche “pezzo” di tributi statali (Irpef o Iva) maturati nel territorio per finanziare le competenze. Ma se le Regioni più ricche d’Italia trattengono più soldi delle tasse nel loro territorio sottraendole allo Stato, come sarà possibile finanziare servizi migliori in tutto il Paese?
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