Strage Ardea, attesa l'autopsia sulle vittime e sul killer. Cosa c'è da sapere sull'arma del delitto

Strage di Ardea. Oggi è il giorno dell'autopsia sui corpi dei due fratellini Daniel e David Fusinato, di 5 e 10 anni, e su quello del 74enne Salvatore Ranieri, uccisi...

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Strage di Ardea. Oggi è il giorno dell'autopsia sui corpi dei due fratellini Daniel e David Fusinato, di 5 e 10 anni, e su quello del 74enne Salvatore Ranieri, uccisi domenica mattina ad Ardea da Andrea Pignani. L'incarico per l'esame autoptico, presso l'istituto di medicina legale di Tor Vergata, è stato affidato dalla Procura di Velletri, che ha aperto un fascicolo al momento contro ignoti sul caso. L'autopsia sul corpo del killer invece si svolgerà giovedì: per Pignani si farà anche l'esame tossicologico.

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LE ARMI - Si continua a parlare dell'arma usata dal killer Andrea Pignani. Era del padre, che la possedeva regolarmente. Solo che era deceduto e i familiari avrebbero dovuto riconsegnarla. Sarebbero allora potute intervenire prima le forze dell'ordine? «La normativa dà pieno potere alle forze dell’ordine, in casi di urgenza e fuori da qualsiasi denuncia, di effettuare verifiche e controlli e di prescrivere le necessarie misure cautelari per la messa in sicurezza dell’arma – spiega l’avvocato penalista Piergiorgio Assumma, docente all'Accademia della Guardia di Finanza e spesso ospite di alcuni programmi della Rai in veste di consulente giuridico –. La complessità risiede nel capire, in fase di indagine, se tutto ciò poteva essere realizzabile».

 

 

GLI SCENARI - Nei giorni scorsi, come rileva Assumma, «si è parlato di pregresse segnalazioni, poi, mai sfociate in denuncia, visti anche i dubbi degli altri cittadini sulla veridicità dell’arma». E si è sottolineato che «le forze dell’ordine, che avevano ricevuto dette segnalazioni, non avevano potuto procedere, vista proprio l’assenza delle denunce». Ma c'è un aspetto da evidenziare. «Il T.U.L.P.S, la normativa speciale, agli articoli 38 e 39, dà un pieno potere alle forze dell’ordine, in casi di urgenza e fuori da qualsivoglia denuncia, di effettuare verifiche e controlli e di prescrivere le necessarie misure cautelari, per la messa in sicurezza dell’arma», prosegue Assumma. La domanda che ci si pone, a questo punto, è: come avrebbero potuto sapere che il Pignani fosse in possesso di un’arma vera?. Assumma risponde che «ricevute le segnalazioni e incrociando i dati della morte del padre del Pignani (guardia giurata), ci si sarebbe accorti che la stessa arma non era stata riconsegnata e, quindi, sarebbero dovute scattare le verifiche ed i controlli».

Ma non è così semplice, perché la complessità risiede nel capire, in fase di indagine, se tutto ciò poteva essere realizzabile e attuabile. «Se dalle indagini dovessero emergere elementi tali da dimostrare che, con un’attività ispettivo – investigativa, anche minima, le autorità di polizia avrebbero potuto sapere dell’esistenza dell’arma, non riconsegnata e, contestualmente o successivamente, collegarla all’arma segnalata dai vicini di zona – conclude l'avvocato penalista –, allora, vi potrebbero essere dei profili di responsabilità, per chi, pur sapendo, non si è attivato alla ricerca, al sequestro e alla confisca dell’arma stessa». 

 

 

 

 

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Il Messaggero