Quell’amico al San Camillo e la felicità

Quell’amico al San Camillo e la felicità
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..che sapore ha la #felicita ?!?!?!?!.

@ChiccaAsRoma

Una telefonata. Dall’altra parte della cornetta una voce bassa e affaticata. E’ quella di Luigi, un amico vero. Un amico che Dario ha sentito al telefono centinaia di volte: ci ha scherzato, viaggiato, ha mangiato con lui e con i suoi figli gomito a gomito. Insieme hanno risolto problemi e si sono aiutati. Eppure tutte quelle volte Dario non si era mai sentito così felice come per quella telefonata arrivata dopo aver pregato Dio ogni sera di non perdere il suo Luigi, ricoverato da settimane nel reparto di Terapia intensiva del San Camillo. 
Che cretino Dario a non essere stato felice prima. Ha dovuto sbatterci il muso.
Ma d’altronde la felicità è così. Certe volte bisogna toccare il fondo, oppure avere molta paura o perdere addirittura qualcosa per poi essere incredibilmente felici per essere tornati su, per aver scampato un pericolo, per aver ritrovato quel qualcosa: la situazione torna uguale a prima, ma adesso assurdamente si è felici. E’ stupido vero? Eppure molto spesso è così. E il guaio, maledetto, della felicità è che non impariamo mai la lezione. Anzi, è la prima cosa che dimentichiamo. E così, anche se spesso si avrebbe tutto o quasi per essere felici, non lo siamo o non ce ne rendiamo conto. A Dario è sempre andata così. Almeno fino all’altro giorno quando è andato a trovare Luigi uscito dall’ospedale e tornato nella villa di Casalpalocco. Hanno riparlato di Raggi e Donald Trump, di Dzeko e Alex Zanardi, di gnocchi e orecchiette. E stavolta Dario si è reso conto di essere felice. Forse, ha imparato.

davide.desario@ilmessaggero.it Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero