«O paghiamo gli stipendi, o paghiamo i fornitori» dicono nei corridoi della sede di Ama di via Calderon de la Barca, musi lungi e nervi tesi. Presto non sarà...
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LO STOP
Eppure, ieri le banche hanno inviato l'ennesima missiva, spiegando che i rubinetti sono destinati a essere chiusi. Spiegano che le linee B e C dei finanziamenti non possono più essere autorizzate perché erano subordinate al ricevimento, entro il primo febbraio, di tre documenti da Roma Capitale: il bilancio 2017 approvato (è stato bocciato), la lettera con cui il Campidoglio garantisce i prestiti, il via libera al contratto di servizio. Non c'è nulla. Ama è a un passo dal baratro. Ieri tutti i dirigenti sono accorsi nella sede di Calderon de la Barca, il clima era tra l'incredulo e la paura, con Bagnacani che resta chiuso nel bunker, non ha intenzione di dimettersi, forte anche del materiale su cui sta lavorando la procura. La giunta Raggi ripete «risolveremo tutto» come sta facendo da undici mesi, senza passare dalle parole ai fatti. «Se Bagnacani andava sostituito perché non farlo prima? Perché hanno tirato talmente la corda da causare la lettera delle banche? Perché non hanno rinnovato il collegio sindacale nei tempi previsti dalla legge?» chiedono in tanti. Tra il personale - 7.800 dipendenti, dal funzionario a chi svuota ogni notte i cassonetti - aumenta l'inquietudine: stipendi in ritardo significano rate dei mutui a rischio, impegni che non possono essere mantenuti, incertezza. Ieri c'era chi voleva organizzare una manifestazione sotto il Campidoglio, ma i sindacati hanno preferito mantenere i nervi saldi. Né con Bagnacani, né con la Raggi, è il mantra. Il Campidoglio ha chiesto tempo fino a lunedì garantendo che per quel giorno risolverà la situazione. L'agonia di Ama - altro che investimenti sulle «fabbriche dei materiali» e sui tredici nuovi impianti - è ormai oggetto di un'inchiesta della Procura della Repubblica e di un'altra della Corte dei conti. Se non si pagano gli stipendi, se non si assicura la continuità aziendale, Bagnacani, che non ha intenzione di dimettersi perché rivendica la bontà e il rispetto della legge del suo operato, porterà i libri in tribunale. Anche l'ipotesi del concordato rischia di saltare. «Come siamo arrivati a questo punto? - ragiona a voce alta un dirigente che chiede l'anonimato - La giunta Raggi da una parte, Bagnacani dall'altra, stanno guidando le rispettive automobili a duecento all'ora, una contro l'altra. E nessuno in questi mesi ha tolto il piede dall'acceleratore. Chi ci rimette? Ama, i dipendenti, i romani». Leggi l'articolo completo su
Il Messaggero